«Caro Renzi, noi scioperiamo»

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I lavoratori pubblici: “Caro Renzi, noi scioperiamo”

La protesta. Insegnanti, medici, infermieri, vigili del fuoco. Oggi tutti a Piazza del Popolo, con un solo messaggio per il premier: «Basta slogan, ascoltaci». Gli statali sono pronti a incrociare le braccia: «Contratto bloccato da 6 anni, e il governo taglia lavoratori e servizi». In campo 12 sigle: è la prima volta

«Sono un vigile del fuoco e per 1200 euro al mese inter­vengo per sal­vare le per­sone dalle inon­da­zioni e dai ter­re­moti». «Sono una mae­stra e gua­da­gno 1500 euro al mese dopo 20 anni di ser­vi­zio». E poi ci sono i medici, gli infer­mieri, gli agenti di poli­zia, i ricer­ca­tori uni­ver­si­tari. I lavo­ra­tori del pub­blico impiego non ce la fanno più: il loro con­tratto è bloc­cato dal 2009, i pre­cari non ven­gono sta­bi­liz­zati e anzi in migliaia rischiano il posto, il governo minac­cia di tagliare sem­pre di più i ser­vizi. Quindi oggi saranno in piazza, a Roma, per una mani­fe­sta­zione unica nel suo genere: riu­ni­sce tutte le sigle – ben 12 – del sin­da­cato con­fe­de­rale. Si aspet­tano 600 pull­man, oltre 50 mila per­sone. Ci voleva evi­den­te­mente Mat­teo Renzi, pre­mier del Pd, per farli arrab­biare tanto.
E oggi dal palco di Piazza del Popolo è alta­mente pro­ba­bile che verrà pro­cla­mato lo scio­pero gene­rale del set­tore. Lo ha spie­gato Gio­vanni Fave­rin, della Fp Cisl: «Se il governo non rispon­derà alle nostre richie­ste, se non tro­verà 1,5 miliardi per comin­ciare a discu­tere del nostro con­tratto, men­tre ha tro­vato 6 miliardi per l’Irap alle imprese, noi con­ti­nue­remo la mobi­li­ta­zione, fino allo scio­pero». E Gio­vanni Tor­luc­cio, della Uil Fpl ha aggiunto: «Saranno i lavo­ra­tori della piazza molto pro­ba­bil­mente a chie­derci lo scio­pero generale»
A entrare nel det­ta­glio delle moti­va­zioni della pro­te­sta è Ros­sana Det­tori, segre­ta­ria gene­rale Fp Cgil: «Il pub­blico impiego non ce la fa più: abbiamo il con­tratto fermo dal 2009, senza con­tare il blocco degli inte­gra­tivi. E certo gli 80 euro non sono un rin­novo. Un dipen­dente medio ha perso almeno 5 mila euro. Siamo sem­pre noi a pagare, e i tagli li subi­scono anche i cit­ta­dini, per­ché i ser­vizi ven­gono impo­ve­riti». Non a caso, lo slo­gan della mani­fe­sta­zione di oggi è #Pubblico6Tu, pro­prio per ren­dere evi­dente che que­sta lotta è fatta per tute­lare i diritti di tutti.
«La mini­stra Madia dice che il Jobs Act e le riforme del governo non ci toc­cano? – riprende Det­tori – È una fal­sità: nel decreto che ha preso il suo nome, Madia ha inse­rito il deman­sio­na­mento, quindi saremo noi a pro­varlo per primi. E poi ricor­date che inse­dian­dosi annun­ciò la “staf­fetta gene­ra­zio­nale”? 15.000 mila assun­zioni, fu la pre­vi­sione. Un’altra grossa bugia: se va bene saranno in tutto 500. Senza con­tare le migliaia di pre­cari che entro fine anno rischiano di per­dere il posto».
«Il lavoro pub­blico non è valo­riz­zato, anzi Renzi lo disprezza – dice ancora Fave­rin, della Cisl – Per tro­vare 1,5 miliardi per il nostro con­tratto, baste­rebbe tagliare 1,2 miliardi di con­su­lenze e per il resto non con­fer­mare alcuni diri­genti. Sem­bra che siamo noi a pesare sul bilan­cio dello Stato: ma si deve sapere che su 830 miliardi di spesa pub­blica annuale, gli sti­pendi di 2,5–3 milioni di dipen­denti pub­blici costano 70 miliardi, men­tre quelli dei soli diri­genti, che sono 168 mila, pesano per 20 miliardi. Non si può tagliare lì?».
Dome­nico Pan­ta­leo (Flc Cgil) ricorda la con­di­zione dif­fi­cile degli inse­gnanti e dei ricer­ca­tori, molti precari.
Nelle parole dei sin­da­ca­li­sti degli sta­tali, è un cre­scendo di attac­chi alla mini­stra della Pub­blica ammi­ni­stra­zione: «Lei poco legge e poco stu­dia: parla di noi senza sapere nean­che cosa fac­ciamo». «Non sa pro­nun­ciare nep­pure tutti i mestieri che facciamo».
Non viene rispar­miato nean­che Renzi: «Sapete cosa ha chie­sto alla cena con gli impren­di­tori a Milano? Se i lavo­ra­tori pub­blici non siano troppi. E ovvia­mente ha riscosso gli applausi degli indu­striali». «Basta pro­messe, basta slo­gan, vogliamo i fatti». Ros­sana Det­tori ipo­tizza addi­rit­tura una nuova forma di pro­te­sta: «Man­de­remo le bol­lette a Palazzo Chigi: visto che i nostri lavo­ra­tori non le pos­sono più pagare, vediamo se ce le paga il governo».
A rischiare, come detto, sono soprat­tutto i pre­cari: migliaia di con­tratti sca­dono appunto a fine anno e non è detto che ver­ranno ulte­rior­mente pro­ro­gati. Men­tre gli orga­nici fanno ormai acqua da tutte le parti, e i cari­chi di lavoro si inten­si­fi­cano sem­pre di più: «Abbiamo perso 460 mila addetti negli ultimi dieci anni – dice Fave­rin – E nei pros­simi quat­tro andranno in pen­sione 150 mila per­sone: ma è pre­vi­sto un ingresso di sole 56 mila unità. Que­sto per chi dice che siamo troppi».
Intanto chiu­dono ser­vizi essen­ziali, si tagliano letti e pre­sta­zioni negli ospe­dali, o li si met­tono a caro prezzo, alzando i tic­ket; si allun­gano le liste di attesa. Rischiano grosso anche impor­tanti pre­sidi cul­tu­rali: il Tea­tro di Roma, con il licen­zia­mento dei suoi orche­strali, è stato solo l’esempio più famoso.
Cgil, Cisl e Uil citano il caso del con­ser­va­to­rio Per­go­lesi di Ancona: «I lavo­ra­tori sono da ben 2 anni senza sti­pen­dio, e nel frat­tempo ha avan­zato una pro­po­sta di acqui­sto una società cinese». Saranno i cinesi, con i loro miliardi, a sal­vare i ser­vizi pub­blici ita­liani? Non sem­bra un’ipotesi percorribile.

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