Caso D’Achiardi – L’abisso dell’indecenza: in scena a Pisa un impossibile dialogo tra la storia e la politica

Ieri martedì 6 dicembre, il Consiglio comunale di Pisa aveva come primo punto all’ordine del giorno la discussione della proposta di iniziativa popolare di cancellare il nome di Giovanni D’Achiardi dalla via a lui intitolata. Un appello firmato da oltre 30.000 cittadini, sostenuto dalla Comunità ebraica pisana, dall’Anpi e dall’Anppia, poi confermato dai massimi organi decisionali delle tre università cittadine, l’Ateneo pisano, la Scuola Normale Superiore e la Scuola Sant’Anna. D’Achiardi, esponente affermato della borghesia locale e noto mineralologo, era stato Podestà, Rettore dell’Università di Pisa: in quest’ultima carica aveva firmato nel 1938 i decreti di espulsione dei docenti e degli studenti ebrei.

Il Consiglio comunale pisano aveva già bocciato una volta questa proposta nel novembre 2021, con una serie di interventi indecenti da parte degli esponenti della maggioranza che sostiene il sindaco Michele Conti, che interpretarono la richiesta come una strumentalizzazione politica che nascondeva un attacco alla Giunta. Ieri i proponenti avevano però in più i pronunciamenti dei Senati delle tre università pisane, che avrebbero potuto portare i consiglieri a una maggiore serenità e apertura di spirito.

Forte di questa speranza il professor Michele Emdin, primo firmatario della mozione di iniziativa popolare, ha aperto la discussione, condividendo con l’aula le pagine più dolorose della propria storia familiare: «È soprattutto a nome di chi non è più, che io parlo. Chi sono io? Sono il nipote di uno tra voi. Nella prima giunta comunale dopo la Liberazione in questi scranni sedeva Naftoli Emdin, anche primo assessore alla sanità nella Giunta Bargagna. […] Espulso nel 1938 dall’Università di Pisa perché censito come di razza ebraica. A condividere il destino di altri 19 docenti della nostra Università […] e quello di quasi 300 studenti». Al contrario di Ciro Ravenna e di Raffaele Menasci, e di molti altri, tra cui gli zii di Michele Emdin, l’ebreo russo Naftoli Emdin naturalizzato italiano riuscì a sopravvivere allo sterminio.

Un intervento commosso e toccante, che perorava una proposta politica partendo dai fatti, tremendi e irrimediabili, delle atrocità subite e delle responsabilità oggettive ad esse legate. La storia prima di tutto, quella familiare e quella collettiva, portata in Consiglio comunale come base per una decisione ponderata e serena. Purtroppo non è andata così. Tra i proponenti e la maggioranza si è aperto un abisso incolmabile che neanche il dolore e il dramma della famiglia Emdin, condiviso con generosità dal professore Michele Emdin, è riuscito a colmare. La diffidenza da parte dei consiglieri di maggioranza non è mai scesa e la posizione espressa è stata: come mai allora nel 1962 il vice prefetto Mario Cataldi, allora commissario del comune di Pisa, decise di intitolare una via a Giovanni D’Achiardi? Concetto che è stato espresso dal consigliere di Fratelli D’Italia Maurizio Nerini con queste parole: «I conti cor passato li ha già fatti ir mi’ nonno, ma perché li devo fa’ io???».

Nello sgomento generale e nella vertigine di indecenza aperta tra la storia e la politica espressa in Consiglio comunale, la mozione è stata bocciata dalla destra mentre pesante, gravissimo ed inqualificabile è stato il silenzio del sindaco Conti per tutto il dibattito. E’ stata approvata invece con una mozione della destra, presentata all’ultimo momento in contrapposizione a quella di iniziativa popolare, la creazione di una commissione per studiare meglio l’operato di Mario Cataldi nel 1962, con l’obiettivo di capire i motivi per cui un uomo dello Stato aveva scelto i lati positivi di D’Achiardi invece di quelli scabrosi. Vogliamo aiutare questa commissione farlocca aggiungendo degli elementi: Cataldi, con l’appoggio della stessa Commissione toponomastica dell’epoca, intitolò strade anche al generale Orlando Lorenzini, «caduto gloriosamente combattendo alla testa delle sue truppe a Chereu (A.O.I.) [Africa Orientale Italiana!] il 17.3.1941» e al principe Amedeo Duca D’Aosta, «eroico difensore dell’Amba Alagi che tenne fino agli estremi limiti delle possibilità umane ottenendo dal nemico l’onore delle armi».

La commissione votata ieri potrebbe esaltarsi ricostruendo le “eroica gesta” dei nostri concittadini che morirono per la patria nelle omicide guerre coloniali di Mussolini.

Una città in comune

Condividi questo articolo

Lascia un commento