Chi ci guadagna con l’immigrazione?

Il vero business sulla pelle dei migranti non avviene in mare ma sulla terraferma, tocca le cosiddette “politiche per l’accoglienza” e si sviluppa nella sfrenata competizione per intascare denaro pubblico. Chi grida all’invasione costruendo castelli di menzogne in realtà lo alimenta, così come la dichiarata volontà di Salvini di bloccare gli sbarchi è una colossale menzogna. L’intendimento è infatti non bloccare gli sbarchi ma controllarli, impedendo che le Ong italiane e straniere che oggi operano nel Mediterraneo possano metterci il becco. Appare già chiaro che solo i migranti raccolti dalle navi della marina militare potranno attraccare nei porti italiani. Lo scopo è duplice: da un lato, procedere alla militarizzazione del flusso dei migranti, dall’altro garantirne un flusso costante per poter perpetuare il business dell’accoglienza

foto tratta da Europa Press

di Andrea Fumagalli

Mentre le acque del mar Mediterraneo si riempiono di cadaveri di uomini, donne, bambini che cercano di raggiungere l’Europa per sfuggire alla guerra e alla miseria economica, il più delle volte causata dalla stessa Europa, nel cinico mondo politico italiano ci si trastulla con il dibattito sul “business” dei migranti.

Non è chiaro di che cosa si stia parlando. A leggere i giornali e le dichiarazioni del duo Salvini-Toninelli il business è quello svolto dalle Ong che con proprie navi soccorrono i migranti a rischio di affogamento su barconi e canotti che lasciano le coste libiche e tunisine. Si tratta di un falso, uno specchietto per allodole. Non è mai stato provato un collegamento tra MSF o Sea Watch e i trafficanti che gestiscono le partenze dietro il controllo delle milizie del territorio e del governo libico.

Il  lucroso business non riguarda i soccorritori (tra i quali anche navi della marina militare italiana), ma piuttosto i boss libici che gestiscono tale traffico. Alcune ricerche, ci dicono che il costo medio del viaggio dall’Africa occidentale si aggira intorno a 825 dollari dall’origine fino al barcone; dall’Africa orientale, è più caro: in media attorno ai 3.750 dollari. A tale cifra poi bisogna aggiungere il costo del passaggio in mare che si aggira intorno ai 2000 dollari. I dati ufficiali mostrano che nel corso del 2017 ci sono stati 119.369 sbarchi.  Ciò significa che la stima del business(supponendo un costo medio di 4.000 dollari a persona) si aggira intorno ai 480 milioni di dollari all’anno. Il numero degli sbarchi negli ultimi mesi si è in parte ridotto per gli accordi che il governo italiano, grazie all’ex ministro Minniti, ha stipulato con i negrieri. In cambio di soldi, si è patteggiata la limitazione delle partenze. Dal punto di vista del business, nulla è cambiato. Il volume dei guadagni sulla vita umana rimane inalterato. Solo la fonte si è modificata: chi contribuisce a tale business è ora anche lo Stato italiano (e qui sta la complicità che si vuole nascondere) e non più solo i risparmi di chi cerca un trasporto al di là del mare per sfuggire a una vita di miseria o di guerra.

Affari che, tuttavia, sono ben poca cosa rispetto al vero business che ruota intorno alle politiche di accoglienza, una volta che si è giunti sul territorio italiano. Un business su cui chi grida all’invasione costruisce castelli di menzogne.

Il percorso di accoglienza si articola su due livelli. Il primo è gestito dai Cas (Centri di accoglienza straordinaria): attualmente in queste strutture sono ospitate 138.504 persone I Cas sono gestiti dai prefetti. Il secondo livello è costituito dal sistema Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), gestiti dai comuni, dove si trovano 25.657 persone. Infine, 8.990 richiedenti asilo trovano rifugio nelle struttura di prima accoglienza. Attualmente in Italia ci sono quindi 174.00 richieste di asilo, la maggior parte di tipo transitorio per muoversi verso altri paesi (dove speso le frontiere sono chiuse, come a Ventimiglia, Bardonecchia e Brennero).

Per ogni richiedente asilo, lo Stato italiano mette a diposizione 35 euro. La propaganda leghista vuole far credere che tale somma di denaro è ad esclusivo uso del singolo migrante (35 euro al giorno significa 1050 euro al mese, meglio di uno stipendio medio o di un reddito di cittadinanza).

Le cose sono nella realtà assai diverse. Di questi 35 euro al giorno per migrante: 27,50 euro servono a pagare i servizi offerti, a partire dal  vitto ed alloggio, compreso gli stipendi del personale impiegato, 5 euro per le necessità del programma di accoglienza, dalle lezioni di lingua alle visite mediche. Solo 2,50 vengono date al migrante per le piccole spese quotidiane. Alcune organizzazioni come la Caritas o Aquiloni di Verona ricevono solo 30 euro perché alcuni servizi vengono offerti  gratuitamente.

Nel 2017, la spesa per l’accoglimento dei migranti è stata quindi in totale pari a 2,222 miliardi di Euro, di cui 2,064 miliardi utilizzati per pagare i servizi offerti da imprese italiane e gli stipendi dei lavoratori italiani. Se teniamo conto, che spesso, il lavoro nei Cas e negli Sprar è su base volontaria, i margini di profitto che si possono ricavare sono assai elevati. Non è un caso, infatti, che tale  business abbia attirato un numero crescente di cooperative che dal comparto del magazzinaggio nella logistica e nelle costruzioni si sono riconvertite al sociale. E numerose sono anche le cooperative sorte appositamente per assistere i migranti.

Occorre tener presente questi dati per valutare lo scarso realismo delle affermazioni di Salvini quando afferma di voler ridurre la cifra per migrante da 35 euro a 25 euro. Tale riduzioni, infatti, non va a scapito del migrante (come si vorrebbe far credere) ma si traduce di fatto in una riduzione dei servizi di base e, soprattutto, del monte salari di chi con i migranti lavora.

Anche la dichiarata volontà da parte del neo ministro Salvini di bloccare gi sbarchi è una colossale menzogna. L’intendimento è infatti non bloccare gli sbarchi ma controllarli, impedendo che le Ong italiane e straniere che oggi operano nel Mediterraneo possano metterci il becco. Appare già chiaro che solo i migranti raccolti dalle navi della marina militare potranno attraccare nei porti italiani. Lo scopo è duplice: da un lato, procedere alla militarizzazione del flusso dei migranti, dall’altro garantirne un flusso costante per poter perpetuare il business dell’accoglienza.

Il fatto che nei primi sei mesi del 2018 si sia registrato un calo del 78% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ha già messo in allarme il mondo delle cooperative dell’accoglienza più o meno fittizia e i circa 200.000 tra addetti e volontari. Il rischio è che l’indotto economico esclusivamente italiano che si è sviluppato sul finanziamento delle politiche di accoglienza entri in crisi.

È anche falsa l’affermazione secondo la quale l’Italia è tra i paesi che spende di più per l’accoglienza. Secondo i dati dell’European Migration Network, il paese che spende più per migrante al giorno è il Belgio (51,14 euro), seguito dalla Finlandia, Olanda, Svezia e Slovacchia (paese che fa parte del gruppo di Visigrad). Come riportato da Carlo Lania, solo Francia, Polonia, Austria, Repubblica Ceca, Irlanda e Croazia spendono meno dell’Italia.

Ed è pure falsa la credenza che l’eventuale risparmio sul budget destinato all’accoglienza possa essere ridistribuito su altre spese. Se è vero che il contributo europeo è irrisorio (92 milioni su un totale di 5 miliardi stanziati nell’ultimo Def – e questo dovrebbe essere un punto su cui battere i pugni), è altrettanto vero che questa somma fa parte di quella “clausola di eventi eccezionali” che consente lo scorporo dai vincoli di bilancio imposti dal patto di stabilità. Ne consegue che se tale cifra venisse destinata ad altri capitoli di spesa pubblica, verrebbe conteggiata  nel calcolo del debito pubblico e quindi dovrebbe essere coperta o da altri tagli o da un aumento delle entrate.

Come scrive Loretta Napoleoni: “Il  disgustoso “business” dei migranti, quello vero, non avviene in mare ma sulla terraferma, in alcuni centri di accoglienza dove la tragedia dei profughi diventa lo strumento per intascare denaro pubblico”. L’inchiesta “Mafia Capitale” è lì a dimostrarlo.

Fonte: Effimera

Condividi questo articolo

Lascia un commento

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: