Chiese chiuse (e non solo): ciascuno faccia la propria parte per restituire il profilo della città

“Ciascuno faccia la sua parte” era l’appello di qualche giorno fa dell’arcivescovo Paolo Benotto, che invocava prevenzione e programmazione per scongiurare il rischio di chiusura di molte chiese della città. Più che un rischio, è ormai la realtà: la Chiesa di San Francesco (di proprietà demaniale) è inaccessibile da otto anni, la Chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri (anch’essa di proprietà demaniale) è chiusa da qualche settimana per problemi strutturali al tetto, mentre la chiesa di Santa Marta lo è da oltre un anno per la stessa ragione. Manutenzione, prevenzione, restauro.

Chiudono luoghi importanti, monumenti simbolo, e al contempo proliferano strutture ricettive di vario tipo: tavolini di locali e ristoranti occupano vie, vicoli e piazze, b&b e affittacamere conquistano i palazzi del centro. Anche questa è programmazione (o mancata programmazione), vale a dire quale idea di città abbiamo? Rimangono le cosiddette tradizioni – Luminara e Gioco del Ponte – ma nessuno si preoccupa più del profilo di Pisa, anche al cospetto di chi viene da fuori. Cosa ne è, ad esempio, di tanti altri monumenti che fanno parte del nostro straordinario patrimonio, oltre a quelli citati da monsignor Benotto? Cosa ne è della chiesa di San Giorgio dei Tedeschi, al cui interno si conserva un preziosissimo Crocifisso dei primi anni del XIV secolo, e di tutto il Complesso quattrocentesco dei Trovatelli in via Santa Maria, svenduto a privati? Di Palazzo Mastiani-Brunacci in Corso Italia, che ha di recente avuto la stessa sorte? Del ciclo di affreschi di Alessandro Gherardini e Gian Domenico Ferretti in Palazzo Ceuli o Cevoli in via San Martino, adibito ad uffici comunali? E ancora, quando saranno aperte al pubblico la chiesa e il convento di San Silvestro, adibiti ora a magazzino e uffici?

Purtroppo, più di altri centri della Toscana, Pisa ha sempre avuto problemi di “gestione” e “valorizzazione” del proprio patrimonio culturale. Basti pensare, tra i tanti casi, alla straordinaria cripta di San Michele in Borgo, allagata da alcuni decenni, che meriterebbe un intervento di restauro – certamente molto costoso – per recuperare il ciclo ad affreschi medievali, unico per soggetto, che ne decora le volte. Nel 1791 Alessandro Da Morrona descriveva quegli oculi entro i quali stavano animali reali e fantastici (leone, aquila, grifo e cavallo alato), eppure da allora nessuno ha più avuto modo di osservarli con attenzione. Così come il retro della chiesa, ove si trovava il chiostro del convento benedettino distrutto dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, trasformato nel complesso (mai inaugurato) della Mattonaia.

Tutti sanno, nessuno interviene. Esattamente il contrario di quell’assunzione di responsabilità invocata adesso dall’arcivescovo e che anche noi, nel nostro piccolo, andiamo chiedendo da tempo

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