Chiti: «Partito gestito in modo disastroso in Toscana sconfitta annunciata»

martedì
26 giugno 2018
Testata:
MATTINO
Pagina:
6

Vannino Chiti, ex parlamentare Pd ed ex governatore della Toscana. Una ex regione rossa, conquistata dal centrodestra. Nel 2013 il centrosinistra governava dieci capoluoghi su undici. Poi, l’inizio del crollo con la vittoria del M5s a Livorno, fino alle sconfitte di Pisa, Siena e Massa.

Si aspettava questa débacle ai ballottaggi?
«Purtroppo sì, ci siamo impegnati per un miracolo che non c’è stato. Al trend nazionale, che oggi premia la destra, si è aggiunto uno specifico della Toscana in controtendenza con la sua storia: dove prima si vinceva di più, oggi si perde di più. Il segretario regionale si è dimesso dopo il4 marzo, ma se il partito non fosse stato gestito in modo disastroso non avremo perso sette comuni capoluogo su dieci».

Colpa delle divisioni a sinistra o bisogna ammettere che Salvini piace agli italiani?
«A Siena, Pisa, Massa, la coalizione era spaccata o lacerata da contrasti interni. Con queste fratture irreversibili, se già la strada è in salita diventa impossibile da pedalare. Lo specifico negativo è un Pd isolato, autosufficiente, arrogante, incapace di includere. In Toscana, poi, dove il partito è sorto sulla forza della sinistra storica – socialista, comunista e repubblicana – e del cattolicesimo democratico più alto, queste chiusure hanno aggiunto delusione e distacco negli elettori. La bruciante sconfitta nasce dalla militanza distrutta in questi anni».

Come reagire?
«Un partito serio ascolta il territorio. Subito dopo le elezioni si sarebbero dovuti convocare tutti i circoli d’Italia, non servono le riunioni autoreferenziali dei vertici. Va fatto ora, senza perdere altro tempo».

All’estero si chiedono dove sia l’opposizione al governo giallo-verde. Dov’è?
«Non sono tra quelli secondo cui gli italiani non capiscono o sono tutti diventati razzisti e fascisti. Il Pd, adesso, deve trovare il coraggio di mettere in campo i propri valori per sconfiggere la destra: dignità, solidarietà, eguaglianza, pace, giustizia sociale. Servono valori e non solo pragmatismo quotidiano, altrimenti si continuerà a perdere».

In campo ci sono due modelli alternativi: una riedizione del centrosinistra e il fronte repubblicano proposto da Calenda. Inutile chiederle quale preferisce.
«Sono per investire in un centrosinistra rinnovato e inclusivo, con cui abbiamo vinto a Brescia. Ma è sbagliato discutere di contenitori anziché di contenuti: la gente non ci ha votato perché ha ritenuto insufficienti le nostre ricette contro la povertà, non tutelati i diritti dei lavoratori, incomprensibili le nostre politiche sull’immigrazione».

Delrio e Minniti avevano idee diverse, ma è un tema epocale. Lei vede soluzione?
«È un fenomeno molto difficile da gestire, e il governo se ne renderà conto quando passerà dai proclami di Salvini ai fatti concreti. Ma da noi ho visto sottovalutazioni: sicurezza e legalità non sono estranee all’azione di un esecutivo di sinistra».

La sua è una forte critica al Pd di Renzi. Ma con Martina il passo non sembra cambiato…
«Renzi ci ha messo del suo, ma il partito non c’era nemmeno prima. Le primarie vanno bene per eleggere il candidato premier, ma il segretario devono sceglierlo gli iscritti e non chi passa per strada una domenica. Se non si cambia il modo di essere con valori, programmi e regole interne, che al vertice sieda Renzi o Martina o Macron non cambia nulla. Oggi, in più, il potere sostanziale non coincide con quello formale». Ciò nonostante, lei resta nel Pd?
«Sì. Finché l’arbitro non mi espelle o, visti i tempi, fischia la fine della partita…».

Condividi questo articolo

Lascia un commento