Così la crisi cambia le abitudini: uno su tre taglia le cure sanitarie

venerdì
22 giugno 2018
Testata:
CORRIERE FIORENTINO
Pagina:
11

La ricerca. di Federconsumatori: giù i consumi di pesce e carne rossa

Sette toscani su dieci trovano peggiorato il loro tenore di vita negli ultimi anni, e quasi la metà (46%) ritiene che le proprie condizioni economiche in futuro peggioreranno. È il quadro, non molto rassicurante, che emerge da una ricerca condotta da Federconsumatori su un campione di quasi 15 mila cittadini toscani. I risultati indicano come un buon numero di toscani abbia cambiato di «molto» i consumi (40 per cento), rinunciando o rinviando l’acquisto di beni o servizi (56 per cento), con particolare attenzione ai beni durevoli, oppure acquistando prodotti di minor costo (48 per cento).

«C’è un clima di sfiducia che permane nonostante ci siano dei segnali di una piccola ripresa ammette Fulvio Farnesi, presidente di Federconsumatori Toscana, che ieri ha presentato a Firenze la ricerca però questa ripresa ancora non incontra la percezione delle persone, che è ancora fortemente ancorata a una situazione di crisi che la maggior parte degli intervistati ritiene debba permanere ancora per molto tempo. E il clima che si respira nel Paese, da un punto di vista di frantumazione delle relazioni sociali, non aiuta a trovare punti di sintesi».

In realtà, sottolinea l’associazione, a distanza di cinque anni dall’ultimo studio sul tema non si registrano cambiamenti significativi, «a dimostrazione di un Paese e di una regione ormai bloccata da anni». E accaduto così che, negli anni della crisi prima e della ripresa fragile poi, il 67 per cento dei toscani abbia ridotto le spese per ristoranti e pizzerie, il 48 per cento abbia tagliato le spese in libri, cinema e teatro, e il 64 per cento abbia fatto economia su vacanze e divertimenti. Ma il 29 per cento, dato più preoccupante anche in prospettiva, ha rinunciato alle spese sanitarie oppure le ha rinviate a tempi migliori.

In campo alimentare è diminuito il consumo di carne rossa, pesce, dolciumi e alcol, ma anche dei cibi bio che costano di più sullo scaffale (e il 75 per cento preferisce la grande distribuzione ai negozi di vicinato), mentre crescono legumi, frutta e verdura a scapito di surgelati e precotti: un dato che sembrerebbe sottintendere una svolta «salutista» delle famiglie. Tuttavia, evidenzia il direttore dell’Irpet Stefano Casini Benvenuti, «se molte famiglie hanno operato in questa direzione, molte altre si sono rivolte a prodotti di bassa qualità, quindi dal punto di vista della salute il miglioramento è stato tutt’altro che evidente».

L’appello è alla politica e alle istituzioni: perché, sostiene Farne si, «si può uscire dalla crisi producendo grandi diseguaglianze, come oggi sta accadendo, ma si può uscirne anche migliorando la qualità della vita di tutti i cittadini attraverso un patto tra i vari attori sociali e di rappresentanza, che metta al centro il diritto e la tutela della persona in quanto tale e come portatore di istanze».

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