Differenziata e riciclo in Liguria costano di più

domenica
6 maggio 2018
Testata:
SECOLO XIX
Pagina:
6

L’inchiesta

Agevolati i piccoli Comuni, ma nelle realtà più grandi gli abitanti sono costretti a pagare cifre ben maggiori

ALESSANDRA COSTANTE

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GENOVA. Differenziare non fa rima con risparmiare. Almeno in Liguria, regione avara di impianti, rimasta ferma mentre passava il treno (non più raggiungibile e non più economicamente vantaggioso) degli impianti di termovalorizzazione sponsorizzati dall’Europa. I dati incrociati, perché quanto meno per la Liguria non esistono ancora ricerche dedicate, dicono che non sempre la raccolta differenziata fa risparmiare.0 guadagnare. Ne vale sempre la pena dal punto di vista ambientale, ma il costo per il Comune, e di conseguenza per gli utenti, può anche essere elevato. Un costo mediamente alto per tutti i capoluoghi di Regione – con qualche eccezione come Trento – e per le città popolose, al netto delle variabili dovute, ad esempio, all’organizzazione del servizio o alle dimensioni delle periferie.

Secondo Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ogni ligure paga in media 226,26 euro all’anno di costo totale dei servizi ambientali, dallo spazzamento delle strade, alla raccolta dei rifiuti fino al loro trattamento finale. La media delle regioni del Nord però è intorno ai 179 euro. Certo, se i Comuni sono piccoli, sotto i 5 mila abitanti (e in queste condizioni in Liguria ci sono 183 amministrazioni comunali su 235), aumento della differenziata e risparmi sono direttamente proporzionali: quando la media della raccolta differenziata cresce i costi si abbassano quasi automaticamente. Lo dimostra ancora una volta la ricerca compiuta da Ispra su 734 comuni italiani, raggruppandoli in cinque campioni per classi di popolazione (da 5 mila abitanti fino a quelli con popolazione ugualeomaggioreai 150 mila abitanti) e provando a disegnare tre scenari differenti: con una raccolta differenziata dal 20 al 40%; una Rd dal 40 al 60% e con una raccolta superiore al 40%.

Perché una tale differenza tra comuni piccoli e grandi? «Nel piccolo la raccolta differenziata è più semplice, l’organizzazione è più lineare, si usano le isole ecologiche e spesso riescono a trattare con le società che gestiscono il servizio per il recupero dei materiali», spiega l’assessore regionale all’Ambiente Giacomo Giampedrone. Il discorso sui costi però può non essere così lineare e lo si capisce, sempre da Ispra, dall’esame dei Comuni con 150 mila o più abitanti. Perché in questo caso ciò che incide moltissimo è la gestione dei rifiuti indifferenziati ela presenza di impianti di trattamento: così si scopre che i costi si abbassano quando si fa un’altissima raccolta differenziata, dal 60% in poi la media di spesa pro capite è di 193,05 euro, oppure quando se ne fa pochissima e quasi il 60% di rifiuti resta indifferenziato (223.03) finendo in discarica a basso costo di smaltimento; ma quando le città sono nel limbo dello scenario che porta dal 40% al 60% di raccolta differenziata, i costi peri cittadini si alzano (259,48 euro all’anno). Scorrendo i dati, ad esempio, si vede che nel 2016 Genova ha avuto una percentuale di raccolta differenziata del 33,5% e la spesa procapite è stata di 202,91 euro. A Genova spetta la mezza assoluzione destinata alle città metropolitane: troppo grandi e troppo complicate per un’organizzazione ottimale della raccolta differenziata.

«La Liguria paga una situazione di elevata frammentazione gestionale, che è stata un freno al processo di industrializzazione del settore» è il parere di Valeria Garotta direttrice di Utilitatis, la Fondazione per la promozione della cultura e delle best practices della gestione dei Servizi Pubblici Locali e che nei mesi scorsi per conto di Confservizi ha studiato la gestione della raccolta differenziata. Non è un caso se le grandi città del Nord (Torino, Milano, Brescia, Bologna, per citare le principali) hanno da tempo superato la logica della “gestione comunale” e intrapreso percorsi di aggregazione, integrando le proprie municipalizzate in grandi gruppi industriali multi-utility con un forte know-how nel campo dei rifiuti e impianti tecnologici che non hanno nulla da invidiare a quelli nord-europei. Ciò, a beneficio di alti livelli di servizio, prima ancora che di un risparmio economico significativo per gli utenti (a Torino, Milano e Bologna il costo totale pro capite è più alto che a Genova). A Roma e Napoli invece si è preferito mantenere tutto pubblico.

In Liguria pesa, e molto, anche la dipendenza dalle altre regioni dal punto di vista dell’impiantistica per il trattamento dei rifiuti. Lo ha indicato chiaramente Confservizi Cispel Liguria con lo studio di Utilitatis che ha vivisezionato la gestione della raccolta differenziata utilizzando un campione di 51 comuni per un totale di 960.250 abitanti (più o meno il 61 % della popolazione ligure). Nel 2016 la media della raccolta differenziata ligure è stata del 39% (anche se nel 2017 la percentuale è cresciuta parecchio) e più della metà dei rifiuti indifferenziati (il 52%) e dell’organico (67%) è stata conferita fuori Regione, negli impianti di Piemonte, Toscana (finché non ha interrotto la convenzione) ed Emilia Romagna, con un costo che va dai 180 ai 200 euro alla tonnellata.

D’altro canto, nel quinquennio chevadal2012al2016igestori esaminati nella ricerca di Confservizi hanno investito 39 milioni euro, ma la quota preponderante è stata destinata alla raccolta e spazzamento, mentre per gli impianti l’investimento è stato residuale. «L’ingresso di Iren in Liguria nell’operazioneAcam – prosegue Garotta – porterà investimenti importanti sull’impiantistica e potrebbe essere un primo passo per la ricerca di economie industriali sul territorio ligure». Tutto però sarà concentrato nello spezzino, nei siti di Saliceti e Boscalino Impianti, tallone d’Achille «La raccolta differenziata è la base, ma poi se non hai gli impianti non si va avanti», sostiene Giampedrone. Gli impianti sono il punto debole della Liguria. La Regione ha imposto a tutte le province di fare i piani provinciali che attualmente sono alla valutazione ambientale strategica. «Abbiamo cambiato prospettiva: non chiediamo alle province di essere autonome come si faceva prima e di fatto c’erano solo discariche, ma che il sistema regionale sia in equilibrio».

La discarica di Scarpino, a Genova, chiusa nel 2014 dovrebbe essere il fulcro del sistema. A fine estate, è la dead line della Regione, il sito di Sestri Ponente dovrebbe riaprire e diventare una discarica regionale a servizio di un impianto di Tmb (Trattamento meccanico biologico). Per l’impianto di stabilizzazione dei rifiuti, ché non è più possibile sotterrare l’organico che inquina facendo filtrare il percolato (come era stato per le discariche Scarpino 1 e Scarpino 2), si dovrà però aspettare un paio di anni e soprattutto capire dove Amiu «e soci», puntualizza Giampedrone, troveranno i soldi necessari, circa 50 milioni di euro. E finché non si trovano i denari, i rifiuti continueranno ad andare fuori Regione. Senza contare che sulla collina di Sestri Ponente la Regione vedrebbe bene anche un biodigestore. Anzi, di biodigestori laRegionene vorrebbe uno per provincia. A La Spezia Iren dovrebbe realizzarlo a Boscalino mentre a Saliceti verrebbe potenziato il trattamento dell’indifferenziato: almeno 40 milioni di investimento.

A Savona un biodigestore che trasforma il rifiuto organico in gas e compost è già attivo a Ferrania, ma potrebbe essere raddoppiato per arrivare a 55 mila tonnellate all’anno. Ad Imperia il biodigestore – per il quale Provincia, Sanremo e Taggia stanno chiedendo tempi rapidi – dovrebbe essere messo in funzione nel 20202021 a Colli a Taggia, ma nessuno vuole più sentir parlare di un futuro per la discarica di Collette Ozotto, un milione di metri cubi che dovrebbe “accompagnare” per i vent’anni di concessione (e forse anche più) l’impianto di trattamento, accogliendo quella parte di rifiuti – si calcola circa il 15 per cento – che non può essere recuperata e riciclata, o trasformata in compost (l’organico).

E in tutto questo la Regione quanto investe? La risposta di Giampedrone: «Zero. La Regione si occupa di programmazione, non di impianti. I partner vanno cercati».

costante@ilsecoloxix.it

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