Discriminazioni nel diritto alla casa: norme da rivedere a livello comunale, regionale e nazionale

Da sempre, ma soprattutto nella grave crisi economico-sociale che sta accompagnando la pandemia, siamo impegnati affinché il diritto alla casa sia realmente garantito a tutte e tutti. Alle attuali gravi difficoltà sul fronte del lavoro non si può sommare anche quella dell’assenza di casa per chi, non avendone una di proprietà, deve rivolgersi al mercato privato o all’edilizia popolare.

Per questo abbiamo condotto da mesi una battaglia in Commissione consiliare permanente affinché il Comune recepisse la giurisprudenza di livello ordinario e costituzionale sul diritto alla casa, che è ormai chiara e consolidata: il requisito dei cinque anni di residenza nel territorio per accedere alle graduatorie ERP e agli aiuti all’affitto è, così come la richiesta per i soli cittadini non-UE di una documentazione originale di non possidenza di beni immobiliari all’estero, costituiscono delle discriminazioni perché violano il principio di uguaglianza. Quando si tratta di un diritto tanto importante, come il diritto alla casa, il criterio che deve prevalere è quello del bisogno, e dunque della condizione economica: ogni altro requisito tende soltanto a discriminare, escludendo intere categorie di persone ingiustamente.

L’amministrazione comunale a guida Lega, per un proprio cinico tornaconto elettorale, ha inserito nei propri regolamenti proprio quelle disposizioni che la Corte costituzionale più volte, intervenuta contro le leggi regionali in materia di casa della Lombardia e dell’Abruzzo, ha dichiarato incostituzionali: la lunga residenza di minimo cinque anni e la documentazione di non possidenza per i soli non comunitari. Nel caso della residenza, si tratta di una disposizione purtroppo prevista anche dalla legge regionale della Toscana, mentre la richiesta di documentazione originale al posto dell’autocertificazione è dalla norma regionale demandata alla scelta dei Comuni.

Sono norme evidentemente discriminatorie, che colpiscono i soggetti più deboli. Perché qualcuno che si è trasferito, ad esempio per lavoro, nel nostro Comune deve aspettare cinque anni prima di potere fare domanda di alloggio popolare o di aiuto all’affitto? Il bisogno si misura forse sulla durata della residenza? E perché trattare diversamente i cittadini italiani e comunitari dai non comunitari, chiedendo solo a questi ultimi una documentazione aggiuntiva in originale, quando si sa benissimo che in molti dei paesi di provenienza non esistono sistemi catastali paragonabili al nostro e che produrre, tradurre e legalizzare questa documentazione ha un costo non indifferente? La risposta, purtroppo, è semplice: la ragione è la propaganda anti-straniero, con cui la Lega da sempre cerca consenso elettorale, non capendo che non si può risolvere così il problema delle liste d’attesa per le case popolari, scandalosamente lunghe, o il problema della sostenibilità degli affitti sul mercato privato.

Garantire il diritto alla casa richiede investimenti economici importanti e costanti, e politiche serie che si ispirino a criteri di giustizia e che, attraverso seri controlli incrociati colpiscano chi ottiene benefici senza averne titolo. La prima cosa da fare è mettere a investire per recuperare e mettere a disposizione tutti gli alloggi popolari esistenti sul territorio, ma anche tutto il patrimonio immobiliare pubblico inutilizzato. La seconda cosa da fare è attaccare la rendita immobiliare di chi possiede e colpevolmente non mette sul mercato decine di alloggi, arrivando in ultima istanza a requisirli per far fronte all’emergenza abitativa. Occorre poi ritornare a forme di equo canone, che rendano gli affitti compatibili con le retribuzioni, in Italia drammaticamente basse da troppo tempo. Le terza cosa da fare, ma non ultima per importanza, è tornare a investire sulla realizzazione di nuovi alloggi popolari: in Italia, dai piani casa del secondo dopoguerra, la quota del bilancio pubblico destinata all’edilizia pubblica è drammaticamente calata, e da qui vengono le lunghe liste d’attesa. Chi pensa di risolvere questo problema escludendo alcune categorie di persone, sbaglia due volte.

E il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina risorse insufficienti all’edilizia residenziale pubblica. Noi chiediamo, invece, che si lanci un vero piano casa nazionale che metta a disposizione, innanzitutto attraverso il recupero degli immobili pubblici e privati non utilizzati, almeno mezzo milione di alloggi popolari nei prossimi tre anni.

Guarda il video del breve intervento sul tema qui:

Diritti in comune: Una città in comune – Rifondazione Comunista – Pisa Possibile

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