Enrico Fink “Spararla grossa come fa la Lega serve al consenso ma è un rischio per la democrazia”

mercoledì
20 giugno 2018
Testata:
REPUBBLICA FIRENZE
Pagina:
III

Intervista

Settantacinque anni fa la sua famiglia ha imparato sulla sua pelle cosa significassero termini come “anagrafe”, “censimento” gli stessi oggi usati dal ministro dell’Interno Salvini in riferimento ai rom. Grazie agli elenchi dei componenti della comunità ebraica di Ferrara compilati dalla questura, nel 1943 i fascisti furono in grado di rastrellare nella città emiliana l’intera famiglia Fink per poi consegnarla ai nazisti, nonché di far cercare ovunque (per fortuna inutilmente) anche il piccolo Guido e sua madre, assenti al momento della retata – ma la cui esistenza era nota proprio per via del “censimento”. Guido diventerà un noto critico letterario cinematografico e teatrale, e padre di Enrico, oggi 49enne, musicista, attore, autore teatrale, fra i principali interpreti della tradizione ebraica in Italia, direttore artistico del Balagan Café organizzato dalla Comunità ebraica di Firenze e che si propone ogni anno come uno degli incroci interculturali più interessanti dell’Estate Fiorentina.

Enrico Fink, è vero, come ha protestato l’Unione delle comunità ebraiche italiane, che Salvini “risveglia ricordi di leggi e misure razziste di appena 80 anni fa”? O è fuorviante, per capire i rischi dell’oggi, leggerli alla luce del passato?

«Le comunità ebraiche reagiscono subito, come è ovvio, ben sapendo a cosa sono servite le schedature nella storia, e che i censimenti su base etnica non sono mai stati fatti per caso, ma per essere usati prima o poi contro qualcuno. Immagino che il leader della Lega non voglia realmente procedere a un censimento dei rom, che oggi sarebbe semplicemente impossibile perché incostituzionale, ma che lo abbia detto per raccogliere consensi. Il che è comunque gravissimo. Il ruolo dei leader politici non dovrebbe essere quello di cavalcare le paure e le insicurezze, magari comprensibili, ma di aiutare la gente a elaborarle criticamente e a leggere la complessità dei problemi».

Uno stile, oggi, nell’era dei 140 caratteri, che farebbe perdere consensi.
«Appunto. E la cosa orrenda è che queste sparate raccolgano adesioni. Il che significa che la Giornata della memoria andrà celebrata, d’ora in poi, con ancora più convinzione e partecipazione. Applaudire a dichiarazioni come quelle di Salvini significa aver dimenticato quello che è successo in un passato ancora recente, ed esporsi al rischio, in assenza di anticorpi e di una convinta adesione collettiva ai valori fondamentali della convivenza, che ritorni in qualsiasi momento. Le soluzioni finali non sono mai improvvise, di solito ci si arriva per piccoli passi non contrastati a tempo debito. Del resto, il vizio di spararla grossa senza preoccuparsi delle conseguenze, di semplificare i problemi per solleticare la pancia delle persone, non è nuovo, è stato del fascismo, dell’Uomo qualunque, si è ripresentato in forme aggiornate con Bossi e Berlusconi, e prima di Salvini è stato di Grillo. In quanto ad assenza di riflessione, rifiuto della complessità, tendenza alle parole d’ordine, infatti, i 5Stelle non sono da meno degli altri».

Il rischio, insomma, è che la situazione possa sfuggire di mano allo stesso Salvini?
«Sì. E a quel punto tornare indietro diventerebbe difficilissimo. Tuttavia, voglio ancora sperarlo: che al di là degli applausi del momento, gran parte di questo Paese non si senta affatto rappresentato da questo governo, e si stia preparando a reagire a tutto questo. In tutto ciò, la sinistra sarebbe bene riuscisse, finalmente, a farsi interprete dell’oggi cambiando radicalmente i suoi paradigmi, perché tornare per le strade potrebbe non bastare…».

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