Il Comune di Pisa ritira il patrocinio a “Quello che le donne vogliono…”, la Provincia no. Ancora una volta, in questa città, un evento commerciale viene scambiato per cultura.

Apprendiamo con soddisfazione la notizia che il Comune di Pisa intende ritirare, anche a seguito della richiesta di “una città in comune”, il proprio patrocinio alla manifestazione commerciale “Quello che le donne vogliono…”, che si terrà nei prossimi giorni alla Stazione Leopolda, per la promozione e la vendita di prodotti per la bellezza e il fitness.

In una nota del 29 marzo “una città in comune” aveva già espresso tutta la propria contrarietà alla scelta di patrocinio operata da Comune e Provincia verso un evento commerciale che, sin dal titolo, proponeva un’immagine stereotipata della realizzazione femminile, esclusivamente basata sulla cura del corpo e dell’estetica.

Il ritiro del patrocinio annunciato oggi dall’assessora alle Pari Opportunità Marilù Chiofalo è tardivo, e rimedia solo in parte al danno fatto, dal momento che il nome del Comune di Pisa comparirà in ogni caso sulle locandine e sui manifesti già affissi e che l’evento si svolgerà tra pochi giorni.

Nessun ritiro del Patrocinio invece da parte della Provincia, il cui capo di gabinetto Alessandro Caprai ha dichiarato che l’iniziativa non presenta “elementi discriminatori che ci possano indurre a revocare il patrocinio” e che “il commento sullo stereotipo di genere è una valutazione politica, che però in questo caso non facciamo perché non si tratta di un’iniziativa espressamente politica o discriminatoria nei confronti di qualcuno.”

Stupefacenti e gravi ci sembrano le parole di Caprai, che presuppongono, per le manifestazioni commerciali, una sorta d’immunità da qualunque valutazione di correttezza e opportunità del messaggio tramesso. Al contrario, un ente pubblico, prima di patrocinare un evento, dovrebbe considerarne a fondo la valenza culturale e sociale: evidentemente l’Amministrazione Provinciale preferisce ignorare la forza d’impatto con cui i modelli dei brand commerciali influenzano la mentalità maschile e femminile, nonostante il parere contrario espresso dall’assessora provinciale alle Pari Opportunità Anna Romei.

In un’intervista a Paginaq, l’assessora comunale Chiofalo ha attribuito la decisione iniziale di concedere il patrocinio ad un “grossolano errore di comunicazione”, sostenendo che era stato richiesto agli organizzatori che “il contenuto dei manifesti rispecchiasse in modo preciso la distinzione tra la parte commerciale e quella di sensibilizzazione sociale”. Una volta visti i manifesti e la campagna pubblicitaria, Chiofalo si sarebbe infastidita, perché la comunicazione fatta “non rispecchia i nostri valori di genere”. Alla luce di queste affermazioni dell’assessora, comprendiamo forse meglio l’origine di tutto questo pasticcio. L’errore compiuto dall’Amministrazione è alla radice, e consiste nell’idea che un’amministrazione pubblica debba affidare le pratiche di sensibilizzazione sociale ad eventi dotati invece di una pura finalità commerciale. Sarà quindi utile ricordare all’assessora e all’Amministrazione nel suo insieme che la cultura, e la cultura di genere non fa eccezione, non può essere delegata a soggetti privati il cui ultimo interesse è il profitto. La “sensibilizzazione sociale”, di cui parla l’assessora, nelle mani delle aziende è solo, in buona sostanza, pubblicità.

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