Il disastro dell’Emilia-Romagna parla anche ai nostri territori

Come nel tribunale di Pinocchio, condannato per aver denunciato i ladri, ora siamo all’accusa verso un cosiddetto “integralismo ambientalista” che sarebbe “nocivo per la tutela dell’ambiente”. Il ministro Musumeci dimostra per l’ennesima volta, se ce ne fosse bisogno, che lo stravolgimento della realtà, se lo si vuole fare, può essere senza limiti. Costretto ad ammettere la necessità di misure di adattamento al riscaldamento globale, invece di assumersi le responsabilità di azioni efficaci e immediate, preferisce scaricare le colpe della drammatica situazione in Emilia-Romagna su chi da anni denuncia le cementificazioni che impermeabilizzano i nostri suoli.

Da 10 anni, assolutamente da soli tra le forze politiche, e anche in questa ultima campagna elettorale, abbiamo posto lo stop al consumo di suolo come una delle questioni dirimenti, perché sappiamo di vivere in un territorio fragile in cui cemento e asfalto aumentano senza limiti da troppo tempo. Il tema che abbiamo posto è stato praticamente ignorato. Anzi, liquidato: perché non realizzare le opere già previste? Questo è il massimo che abbiano sentito dire, come se peraltro le previsioni non si potessero cambiare.

Abbiamo fatto opposizione alle infinite varianti che si traducevano in colate di cemento, al Piano Strutturale Pisa-Cascina e al nuovo Piano Urbano della Mobilità, diciamo no alla Tangenziale Nord-Est, alla Darsena Europa, alla nuova pista di Peretola. A queste pratiche e scelte scellerate noi contrapponiamo un progetto di governo del territorio che parta dalla tutela delle risorse ambientali per riconvertire l’economia, mettiamo al centro la necessità di rispondere al riscaldamento globale, affermiamo l’importanza di lavorare in cooperazione e sinergia con gli altri territori piuttosto che agire in competizione con loro.
E’ integralismo? O quest’accusa è molto comoda perché permette di evitare di affrontare i nodi di un modello, quello sì totalmente sbilanciato, dalla parte del profitto più bieco, per pochi e a danno della comunità?

Noi lo ribadiamo ancora: a Pisa innanzitutto bisogna fermare le nuove costruzioni, le nuove strade e i nuovi parcheggi che invece la pianificazione in vigore prevede a profusione a discapito del verde, a partire dal Piano Strutturale Pisa-Cascina, prodotto bipartisan di centrodestra e centrosinistra. Va stralciato e occorre un nuovo Piano elaborato in sinergia con i Comuni dell’area. Stessa cosa vale per il Piano Urbano della Mobilità: si devono cancellare le decine di migliaia di metri quadri a parcheggio, perché si deve innanzitutto impedire che le persone arrivino a Pisa e si muovano in città in auto. Per questo non si deve fare la Tangenziale Nord-Est, ma investire le risorse attualmente previste per questo intervento nella realizzazione di una rete verde multifunzionale e nella realizzazione di bacini per la conservazione delle acque e la ricarica delle falde: questa è una vera e necessaria grande opera per il territorio.

Serve poi un PAESC, Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima, elaborato e messo nel cassetto tanti anni fa dal centrosinistra. Oggi va rivisto, aggiornato, arricchito: da troppo tempo giace dimenticato. Dopodiché, deve essere attuato: realizzando comunità energetiche solidali, investendo sul risparmio energetico e sulle energie rinnovabili.

Come abbiamo già detto, tutto questo non è un sogno utopico. E’ ciò che è necessario e ineludibile, e chi continuerà a sottrarsi a questa sfida sarà responsabile di ogni nuova catastrofe. Non è ammissibile che quanto sta succedendo in Emilia-Romagna non venga minimamente preso in considerazione, come non si può dimenticare quello che è successo a Livorno nel 2017 o a Carrara nel 2014.

Queste terribili giornate, che hanno portato morte e distruzione, devono essere materia di riflessione per un profondo cambiamento delle politiche locali. Un cambiamento possibile: le centinaia di milioni di euro che si vogliono usare per la nuova pista di Peretola e per la Darsena Europa devono essere invece messe a disposizione di questo cambiamento.

Una città in comune

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