La cultura a Pisa? Basta che sia rossocrociata.

È uscito pochi giorni fa il bando del Comune di Pisa sui contributi culturali.
Se il precedente Assessore Buscemi aveva messo a bando l’intera somma disponibile nel bilancio comunale per i contributi alla cultura, quest’anno l’Assessore Mignemi mette una quota equivalente ai tre quarti, 92.000 euro.
La scelta è comunque quella di non riconoscere con contributi diretti le realtà culturali presenti sul territorio che operano da anni, ma di far passare la gran parte dei finanziamenti tramite un bando dai criteri molto discutibili.
La qualità delle proposte culturali diventa un criterio insignificante, vale appena 5 punti insieme alla quantità delle iniziative previste. Nessun riconoscimento viene concesso alle attività pregresse né alle professionalità messe in campo: anzi, altri 5 punti vengono assegnati a chi prevede più lavoro svolto da volontari, in maniera quindi gratuita.

In compenso ben 25 punti sono assegnati a chi preveda la «valorizzazione della Città di Pisa, delle sue tradizioni, della sua storia, dei suoi personaggi, e dei suoi spazi pubblici».
Ovviamente per accaparrarsi questi punti ogni associazione tenderà a mettere una casacca rossocrociata alle proprie iniziative, anche senza alcuna attinenza tematica (tanto la qualità non conta).
Ci sarà quindi una rincorsa a presentare proposte patinate da una presunta “pisanità” (o “pisaggine” come diceva Marianello Marianelli), con conseguente svilimento degli stessi contenuti della tradizione cittadina.
Una tradizione infatti che a ben vedere risulta molto più coerente con le parole dello Statuto comunale di Pisa, che prevede la valorizzazione dello «scambio e l’integrazione culturale tra i popoli, […] il rispetto e la tutela delle diversità etniche, linguistiche, culturali, religiose e politiche, anche attraverso la promozione dei valori della cultura della tolleranza le diverse culture che convivono nella città», rispetto a un’immagine “proprietaria” e di chiusura che il bando lascia intendere: le “sue” tradizioni, la “sua” storia, ecc.
Ci chiediamo: davvero è questa la cultura che vogliamo per la città di Pisa?
È questo un approccio alla cultura adeguato ai nostri tempi?
E ancora: come pensa l’Assessore di salvaguardare le esperienze storiche di produzione culturale presenti in città?
Si tratta di professionisti della cultura che fanno ormai parte della tradizione cittadina e che hanno dimostrato negli anni un’alta qualità di proposte: è questa invece una “pisanità” che deve andare al macero?

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