La mobilitazione studentesca per la Palestina prosegue, l’acampada raggiunge il suo undicesimo giorno e registra le prime vittorie

La mobilitazione studentesca per la Palestina prosegue, l’acampada raggiunge il suo undicesimo giorno e registra le prime vittorie: giovedì scorso il rettore Zucchi ha firmato un documento studentesco con il quale ha garantito di farsi portavoce, l’indomani, delle rivendicazioni studentesche alla riunione della CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane).

Studentesse e studenti in tutta Italia stanno infatti chiedendo alle università di “utilizzare ogni mezzo a disposizione” per interrompere qualsiasi coinvolgimento con il genocidio, l’apartheid e l’occupazione israeliana in Palestina. In piena ottemperanza dell’art. 11 della Costituzione e del diritto umanitario internazionale (compresa la mozione d’urgenza della Corte Internazionale di Giustizia del 28 marzo), ciò riguarda tanto le compromissioni della ricerca con la filiera bellica quanto i rapporti con università e istituzioni israeliane storicamente elementi strategici della politica coloniale – e ora genocidaria – del governo israeliano.

Nonostante la rivendicazione pisana e i risultati analoghi ottenuti in molte università d’Italia, la CRUI ha ieri ribadito la propria posizione: pur convenendo che “il massacro di civili a Gaza” abbia “superato ogni limite accettabile”, ha rifiutato di avviare una riflessione seria sul boicottaggio accademico e di confrontarsi con una mobilitazione che sta scuotendo il mondo della ricerca a livello globale, impegnandosi invece a “proseguire la collaborazione scientifica con le università straniere di ogni Paese”, comprese, senza distinzione, tutte quelle israeliane, pure in moltissimi, documentati casi compartecipi attive del colonialismo e degli atti genocidari in corso.

Il sapere e i luoghi della cultura non possono rivendicare una propria neutralità e alterità rispetto agli orrori del presente. Sosteniamo la mobilitazione studentesca e ci uniamo ancora una volta a chi chiede a gran voce una presa di responsabilità del mondo del sapere e della ricerca, un salto di qualità nella riflessione collettiva affinché i luoghi della formazione producano davvero una cultura di pace e non contribuiscano alla violazione del diritto internazionale, ai massacri, alla guerra.

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