La protesta degli studenti cortei in cinquanta città «L’istruzione non è merce»

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La protesta degli studenti cortei in cinquanta città «L’istruzione non è merce»

Decine di migliaia riempiono le piazze contro le proposte del governo «Non ci piacciono gli sceriffi e l’alternanza tra lo studio e il lavoro»

Roma, Genova, Milano, Torino, Napoli, Bologna, Firenze. Ma anche Pisa, Trieste, L’Aquila, Pescara, Novara, Ferrara, Salerno, Cagliari. Ieri 50mila studenti – secondo gli organizzatori – hanno sfilato in 40 cortei contro la nascente riforma della pubblica istruzione, al grido di «la scuola pubblica non si vende».
Incidenti a Milano con il lan cio di vernice sugli agenti. «La polizia – spiega Danilo Lampis, portavoce nazionale dell’Unione degli studenti – ha impedito un percorso già concordato, come era già successo a novembre. Quindi si sono creati momenti di tensione.
C’è sempre una gestione pessima da parte delle forze dell’ordine di questi eventi, perlopiù tesa a provocare i manifestanti. Non si fa altro che erigere zone rosse: trasformando le questioni politiche in questione di ordine pubblico».
Oltre ai disordini, minimi e circoscritti a Milano, restano le rivendicazioni degli studenti. «Principalmente – prosegue Lampis – rigettiamo le proposte del governo rispetto alla scuola perché al di fuori di quello che è dovuto (come le assunzioni dei precari), riteniamo sbagliata l’idea dell’alternanza scuola-lavoro. Non può essere l’azienda che determina l’alternanza, ma deve essere l’ente formativo a deciderla. Bisogna inoltre parlare didiritto allo studio, in un paese in cui la dispersione scolastica è al 17,6%, afronte del 12% europeo». L’Unione degli studenti ha presentato alla Camera il 10 marzo, in anticipo sul governo, il progetto de “L’altra scuola”. Nel documento si parla di un’istruzione «pubblica, inclusiva, gratuita e democratica», con un’autonomia finanziata, che non sia solo un rafforzamento dei poteri dei presidi-sceriffi e un deciso investimento sull’edilizia scolastica. Banditi tanto i finanziamenti dai privati, quanto quelli ai privati e, in particolare, alle paritarie. «È uno schiaffo a chi frequenta ogni giorno una scuola pubblica definanziata e dequalificata», tuona Lampis, che invita il Parlamento a «discutere la Lip», la legge d’iniziativa popolare presentata il 2 agosto 2014 al Senato.
La Rete degli studenti medi, invece, non ha partecipato alle manifestazioni indette dalle altre sigle, anche se condivide il merito delle critiche alla Buona Scuola. «Abbiamo fatto un flash mob sotto il Miur vestiti da clown – racconta Alberto Irone, portavoce nazionale dell’associazione – perché crediamo che nella scuola non si debbano fare pagliacciate. Ci vuole più dialogo con i rappresentanti». Anche i sindacati degli studenti, infatti, come quelli dei docenti, lamentano una scarsa propensione al dialogo da parte del governo. «1 questionario della Buona Scuola ci ha coinvolto pochissimo – fa sapere Irone – nelle linee guida che sono state presentate a settembre si parlava di un ruolo consultivo degli organismi degli studenti. Che, però, sono stati convocati a maggio: a scuola finita e a DI già fatto».

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