La sapienza e la vocazione da rispettare

Il Tirreno, 28 febbraio 2014

“La sapienza e la vocazione da rispettare”

di Salvatore Settis

C’era una volta il Ministero della Pubblica Istruzione, poi via via spezzettato, maciullato da tagli al bilancio e al personale, svilito dall’inopinata cancellazione dell’aggettivo “pubblico”, perpetrata da un governo Berlusconi intento all’idolatria del Privato. Il nome storico, che risale a Cavour (1861), e che sotto il fascismo si trasformò in “Ministero dell’Educazione Nazionale” per riprendere poi l’antico nome nel 1944, perse senso e slancio via via che, come in una deriva dei continenti, “pezzi” importanti di quella che fu la “pubblica istruzione” ne venivano estirpati. Nacquero così dalle sue costole il Ministero dell’Università e della Ricerca (1988), poi più volte riaccorpato e ri-separato, e il Ministero dei Beni Culturali (1975), a sua volta ridisegnato secondo una geometria perpetuamente variabile. Ma fu quel Ministero, col suo epiteto di “pubblico” vistosamente affisso, che nel 1876 (ministro Ruggero Bonghi) classificò in un Regolamento organico le “biblioteche governative del Regno”. La Biblioteca Universitaria di Pisa, conservando l’antico nome e la sede nel Collegio della Sapienza, fu classificata allora, con pochissime altre, fra quelle “di prima classe”, in nome della sua consistenza e dello storico nesso con l’Università. Questa collocazione fra le biblioteche di interesse nazionale ebbe allora, e conservò per un secolo, lo scopo di garantire la sorte della biblioteca pisana e di assicurarne il destino. Nello stesso spirito, l’Universitaria di Pisa fu inclusa fra quelle che, alla fondazione del Ministero dei Beni Culturali, passarono sotto la sua egida. Nessuno poteva prevedere, allora, che la frammentazione dell’assetto della (Pubblica) Istruzione, portando l’Università di Pisa e la sua storica Biblioteca sotto Ministeri diversi, ne avrebbe fatto dei separati in casa, con infinite contese, diventate intollerabili ora che da quasi due anni quella Biblioteca è drammaticamente chiusa, e non si intravvede all’orizzonte una soluzione decente. Se qualcuno prova a difendere la Biblioteca, in quest’Italia incline all’ insulto scatta l’accusa di “far lobby” contro l’Università; e per converso c’è chi dice che la “casta” dei docenti di Giurisprudenza vuole sfrattare l’Universitaria e i suoi lettori. Il Collegio di Sapienza fu, da Cosimo I in poi, il principale della città, e divenne sede della sua Biblioteca per motu proprio granducale del 1820, con ampliamento degli orari e apertura alla cittadinanza dal 1841. Con essa era connessa strettamente la biblioteca del Seminario Giuridico, mentre negli spazi della Sapienza si svolgevano attività didattiche e si raccoglievano libri dei vari Istituti (anche della Facoltà di Lettere). La crescita numerica di studenti e docenti e l’enorme aumento dei volumi nella Biblioteca Universitaria e in quelle d’Isti tuto portarono a un inesorabile distacco delle varie funzioni, e a un crescente conflitto fra Università e Biblioteca, quasi si trattasse di entità nemiche ciascuna delle quali dovesse rivendicare la primogenitura. Se oggi, in conseguenza del terremoto dell’ Emilia, mentre le biblioteche emiliane hanno potuto riaprire, quella di Pisa è ancora chiusa a dispetto dei confini geografici, è perché la valutazione dei danni (lentissima, e a quel che pare costosissima) si è andata a innestare su questa controversia istituzionale.Ma è proprio impossibile riprendere in esame la sorte della Sapienza e delle sue biblioteche nel suo insieme, avendo di mira il pubblico interesse, e non l’assurdo braccio di ferro tra l’Università e la Biblio teca che ne ha il nome e ne incarnala storia? La polverizzazione del demanio statale ha portato, nel 2002, a trasferire il palazzo della Sapienza in proprietà dell’Università, ma questo comporta forse lo sfratto della Biblioteca? Perché non dovremmo lavorare tutti insieme, le istituzioni pisane e i cittadini, perché trionfino i diritti dei lettori, degli studenti, dei docenti, e non un’istituzione piuttosto che l’altra? Il Palazzo della Sapienza ha una vocazione storica, che non può essere tradita: quella di essere sede di rappresentanza dell’Università (anche perla presenza delle due Aule Magne), e quella di contenere la parte più antica e nobile del suo patrimonio librario. Spargerlo qua e là in città o in periferia non è una soluzione degna, segmentare la Biblioteca non aiuta chi studia, perché le carenze di personale ridurrebbero fatalmente gli orari di apertura allungando i tempi di accesso ai libri. Diciamolo perciò chiaramente: la Biblioteca Universitaria di Pisa rischia di morire, anzi di essere uccisa, e con essa il cuore stesso di questa antica Università. E la Biblioteca, anzi le Biblioteche della Sapienza non possono essere allontanate dal centro della città: perché, nell’interesse dei lettori e degli studi, devo no essere collocate vicino alla Biblioteca della Normale (diventata ora la più grande della città), che si espande in quattro diversi edifici intorno alla Piazza dei Cavalieri. Non esistono soluzioni a costo zero: perché quel che si fa a costo zero, si sa, produce molto meno di zero. Le istituzioni pisane hanno il compito difficile ma urgente di studiare una soluzione che assicuri il futuro dell’Universitaria, che deve restare tutta insieme nella Sapienza, ma anche quello delle biblioteche giuridiche, che devono anch’ esse esser collocate nello stesso edificio: mentre aule, studi ed altre attività di Giurisprudenza devono trovar posto a breve distanza, in altri edifici demaniali (per esempio nel vasto e sottoutilizzato palazzo di Piazza Carrara). Questa soluzione – lo ricordo ai più giovani – fu espressamente discussa nel 1979 in Senato accademico (ero allora Preside di Lettere): perché già allora i problemi di crescita delle biblioteche di Sapienza e i conflitti che avrebbero creato erano evidenti. Trentacinque anni senza affrontare il problema alla radice sono tanti. E’ arrivato il momento di finirla con recriminazioni, accuse e insulti, e di ragionare sui problemi? La commissione nominata dal Ministero dei Beni Culturali riuscirà a vagliare i dati e a proporre una via d’uscita degna di Pisa? I due Ministeri coinvolti, e poi Regione, Provincia, Comune, Fondazione Pisa faranno la loro parte? E in questo Paese che spreca 26 miliardi l’anno in spese militari, chi potrà dire che “non ci sono fondi” per un’istituzione di ricerca e di pace? Ma la prima mossa non è stracciarsi le vesti perché mancano i fondi: è trovare, e argomentare, una soluzione che meriti il necessario investimento; che non sia un rattoppo, l’ennesima risposta effimera a un’emergenza che effimera non è. Dall’alto della sua statura morale e culturale, il professore Salvatore Settis interviene nel dibattito sul futuro della Sapienza di Pisa per scongiurare liti dilanianti tra le fazioni in gioco, liti che sono ormai quotidiane. II palazzo quattrocentesco, chiuso dal 29 maggio del 2012 per criticità strutturali aggravate dalle scosse del terremoto che ha devastato paesi e campagne dell’Emilia Romagna, è da sempre sede di rappresentanza dell’Ateneo pisano e dal 1823 sede della Biblioteca universitaria, che conserva il patrimonio librario più antico e prezioso della città. II problema è che – dopo la separazione dei dicasteri negli anni a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta – la facoltà di Giurisprudenza è passata sotto il ministero dell’università e la Biblioteca è tutelata dal ministero della cultura. una lunga perizia (che è stata resa pubblica di recente, per esattezza il 20 dicembre dello scorso anno) ha stabilito che alcune parti dell’immobile vanno rafforzate e che il 30 per cento del materiale librario (oltre seicentomila volumi) va spostato, perché il suo peso è insostenibile. Nell’attesa di una soluzione che convinca tutti, in questi mesi si è arrivati allo scontro tra quelle che sono state addirittura rappresentate come “lobby della Biblioteca” contro “casta dei docenti”, fazioni che si vogliono reciprocamente sfrattare, o quasi. Intanto gli studi giuridici si sono “diluiti” in città e la Biblioteca lavoraa regime ridottissimo con gli impiegati che possono entrare nell’edificio soltanto per pochissimo tempo e solo con particolari precauzioni sul fronte della sicurezza.

II professor Salvatore Settis

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