La Torre pende. Ma non a sinistra

venerdì
1 giugno 2018
Testata:
VENERDI REPUBBLICA
Pagina:
40

La disoccupazione cala, la criminalità è bassa. Ma allora perché il 10 giugno anche a Pisa potrebbero vincere le destre e chi specula sulla sicurezza? Reportage da un (forse ex) gioiellino

PISA.

Dei dieci candidati sindaco manca solo quello del Partito comunista, «impegnato altrove» sibilano dal palco.

Convocati al Palazzo dei congressi a un mese dal voto rispondono, in un dopocena affollatissimo, alle preoccupazioni dei commercianti. Le domande le legge Federico Pieragnoli, direttore provinciale di Confcommercio, che solo otto anni fa la polizia municipale aveva fatto desistere dal tentativo di entrare in Comune con una bara in spalla a simboleggiare la morte del commercio cittadino. Il tema dei temi è “sicurezza”. Ogni aspirante primo cittadino ha due
minuti e mezzo per spiegare la sua ricetta. Alle loro spalle vengono proiettati i numeri di un’apparente catastrofe con Pisa settima per furti («36 al giorno, peggio di Napoli, in rapporto alla popolazione» rimarca il presentatore), sesta per rapine a esercizi commerciali. Ciccio Auletta di Una città in Comune, una delle sette liste a sinistra del Pd, sfida il pensiero unico: «In verità, per la questura, i reati sono in diminu…». Le ultime due sillabe vengono seppellite dai fischi di una platea surriscaldata. Per l’ex missino Michele Conti, tra i favoriti, è l’assist ideale permettere in caricatura una sinistra che dipinge marziana: «Altro che percezione, la situazione è invivibile e intollerabile. E quando sarò sindaco, grazie ai tre parlamentari leghisti che abbiamo mandato a Roma, ci faremo sentire». Pisa come il Bronx: ecco uno che ci capisce, esulta la sala. Un tipo con una tuta rossa e un borsello anni 80 si spella le mani a forza di applaudire. Arriva il turno di Andrea Serfogli, assessore al bilancio nella giunta attuale e candidato del Pd nel nome di una contrastata continuità. Si smarca come può: «No, non è percezione, sono problemi che affliggono pesantemente la città. Servono azioni concrete. Come il turno notturno dei vigili.Ma rivendico che negli ultimi cinque anni abbiamo portato le telecamere da 5 a 100». Un discreto aumento, no? Ma la frase non viene neppure registrata dall’uditorio malmostoso («E chi comandava? Voi!»). Serfogli è l’unico senza claque. L’invito a presentarsi era circolato nella chat dei 32 consiglieri della sua lista, ma misteriosamente se ne sono presentati solo 5-6. Se l’applausometro della serata avesse qualche valore previsionale, domenica 10 giugno il Pd perderebbe 9 a I. Ma anche facendo gli aruspici sui risultati delle Politiche (destra al 31 per cento contro il 30,5 della sinistra e il 23,7 M5s), c’è poco da stare tranquilli. Dopo la grillinizzazione di Livorno, dove il Pci vide la luce nel 1921, stavolta la Toscana rossa rischia di sbiadire anche qui, come forse a Siena e a Massa?
Su scala nazionale la vittoriosa marcia populista è generalmente a doppia trazione: economica e securitaria. In questa piccola superpotenza intellettuale che ospita, oltre all’ateneo statale, Scuola Normale e Sant’Anna, però la crisi ha morso molto meno che altrove. «Perché tra ospedale e università una gran fetta della popolazione lavora nel pubblico e non ha risentito della crisi» mi fa notare Davide Guadagni, grillo parlante della sinistra locale («Ho organizzato 96 campagne elettorali!») e oggi, a riprova del suo argomento, portavoce del rettore. L’università dà indirettamente da mangiare anche ai tanti che hanno lasciato il centro storico per affittare le case agli studenti che per buona parte lo popolano. Esclusa l’insicurezza finanziaria (dal 2013 al 2017 la disoccupazione giovanile è crollata dal 40,3 al 22,8 per cento contro il 34,7 nazionale), resta quella esistenziale, che ha a che fare con il ritrovare il proprio posto in un mondo molto cambiato. E alla fine, che tu parli con la parrucchiera Elisa, cui hanno spaccato tre volte le vetrine negli ultimi due mesi, o con Michele Battini, storico exnormalista e cosmopolita, la cui figlia ventottenne preferisce evitare certe strade di notte, tutte le conversazioni finiscono nello stesso luogo buio: la zona disagio. «Sì perché, vuoi che il problema della criminalità sia reale e vada risolto, o sia solo percepito e vada smentito, c’è sempre qualcosa da fare» riconosce il romanziere Marco Malvaldi, autore della fortunata serie del BarLume, «e la sinistra nonè stata troppo brava afarlo».Intendiamoci, «qui si vive bene» e dal suo studio sul Lungarno mi mostra indignato la ciclabile che finisce sul marciapiede. Però ai suoi tempi di studente la movida non era un problema («col passaggio dai vecchi corsi di laurea alle specialistiche 3+2 i ragazzi hanno più tempo libero!») e i pochi locali chiudevano dopo il tg.
Oggi invece succede che in terza serata piazza dei Cavalieri, magnifica sede della Normale, si trasformi nel corrispettivo pisano di Campo de’ Fiori o dei Navigli. Con torme di ragazzi su di giri, corroborati dall’alcol low cost smerciato in ceste da intraprendenti cingalesi che hanno aperto minimarketnelle vicinanze. Così il quadretto dello scandalo è completo: l’augusta istituzione lordata dalla pipì sui muri; il sonno dei pisani rovinato da chiacchiere antelucane; il business dei commercianti slealmente minacciato dagli immigrati, per di più grazie alle liberalizzazioni delle licenze volute da Bersani. E successo negli ultimi vent’anni. Governava la sinistra. Tutta colpa sua. Tolleranza zero e avanti il prossimo.
Che ci può stare, siamo al corso introduttivo di alternanza democratica, se non fosse per una serie di dispettosi dettagli che complicano il quadro. Qvvero che il sindaco uscerrcil piddino Marco Filippeschi, è lo stesso cheha sgomberato un campo rom e a gennaio ha inaugurato il Daspo urbano, ovvero l’allontanamento forzoso (con multa da almeno 100 euro) di ubriachi, commercianti abusivi e altri disturbatori della pubblica quiete dalla Stazione, da piazza del Duomo e dalle altre zone che ricorrono immancabili nelle lamentele della popolazione. Non un buonista tendenza Veltroni ma un duro alla Renzi quando governava Firenze. E, dunque, cosa gli rimproverano, esattamente? Si aver fatto troppo poco, troppo tardi. Ma soprattutto, saltando il piano di realtà per atterrare su quello dei simboli, di non fare la voce grossa e schiumare quando nomina la parola immigrati. E una popolazione invecchiata, quindi più debole e spaventata, sembra apprezzare messaggi chiari e l’occasionale canino digrignato non guasta. D’altronde il benemerito rapporto dell’Osservatorio sicurezza urbana della Regione Toscana avvisava già nel 2009 che i pisani staccavano, col 70,3 per cento, i cittadini di tutte le altre province quanto a preoccupazione di subire furti in casa. Per confermare nel 2016 chela media dei furti denunciati è più alta di quella nazionale. Sono stati ascoltati? Vado a trovare Maria Chiara Carroz za, ex ministro dell’Istruzione del governo Letta, altro pisano d’adozione, nella sua bella stanza da ex rettore della scuola Sant’Anna. «A me hanno rubato 6-7 bici e la casa di mia madre allora ottantenne è stata rapinata due volte, una volta con lei dentro. A dire tutta la verità mi sento più sicura aTermini che nella nostra stazione» confessa questa roboticista che soffre soprattutto, come tanti suoi concittadini, il ri dimensionamento dell’aeroporto locale a favore di quello fiorentino. Che, insieme alla campagna acquisti dell’ospedale di Gareggi ai danni del pisano Cisanello, viene letto come una sorta di punizione del Pd regionale, a ispirazione renziana, per spezzare le reni ai ribelli pisani, lettiani quando non fuoriusciti come l’ex sindaco ed ex senatore Paolo Fontanelli che alle Politiche ha regalato a Liberi e Uguali un inedito 1 Opercento. Però quando gli chiedo, in una sede elettorale che sarebbe stata più proporzionata a una maggioranza almeno relativa, di sforzarsi di abbozzare un mea culpa, non riesce ad andare oltre a una giaculatoria standard («scontiamo il vento populista nazionale»; «i giovani ci vedono non come il cambiamento, ma come il sistema da cambiare»; «è stato strappato il tessuto del partito»). Quello che non dice me lo ricorda Guadagni, la vecchia volpe: «Nel’70 arrivarono i Mussi e i D’Alema. Negli 80 Fontanelli, Filippeschi ed Enrico Rossi e da allora non sono più cambiati. Forse la gente è semplicemente stanca».
Ogni quartiere infelice è infelice a modo suo. In uno dei due baretti del Cep (Centro edilizia popolare, costruito negli anni 60) incontro un bel po’ di gente. Bruno è un settantenne che, dopo la militanza giovanile in Lotta continua, era confluito nel Pci: «D’Alema lo conoscevo bene, è nato otto giorni dopo di me. Lo chiamavamo scarpacce perché come tutti i funzionari di partito si vestiva con due lire. Dopo però se n’è comprate da un milione e mezzo, mentre io son sempre lo stesso. Non siamo noi ad aver abbandonato la sinistra, ma la sinistra ad aver abbandonato noi. Qui avevamo tutto. Poi i campini da calcio che erano il cuore del quartiere sono stati trasformati in un casermone di appartamenti e quelli costruiti dopo fanno schifo e all’inaugurazione la cosa che si vedeva di più era il logo del Pd. Avevamo almeno chiesto di darci La Polveriera, un grande edificio pubblico da destinare ad attività ricreative. E invece ci hanno fatto un centro di prima accoglienza per migranti. Devo andare avanti? L’unica certezza che ho è che non voterò Pd».
Al San Marco, il quartiere dell’aeroporto, c’è il circolo Arci Balalaika. Aiutano i ragazzini a fare i compiti, organizzano corsi di fotografia e un sacco di serate musicali. Da poco ospitano una «sezione» del Pd. E anche chi votava più a sinistra, come il presidente Enrico Fiorini, è tornato all’ovile contro la «minaccia della destra»: «Una volta qui il Pci faceva il 70 per cento. Oggi il 25, contro il 27 dei 5S e il 20 della Lega. Hai voglia a spiegare a mia madre che non deve aver paura a prendere l’autobus quando ci trova quasi tutti stranieri. Per lei è un sentimento reale, e bisogna trovare un modo di rassicurare quelli come lei. Di sinistra, ma spaventati». E non c’è neppure bisogno di essere anziani se ad avvertire la exprorettrice Rosalba Tognetti di fare attenzione a «quelli che spacciano sotto le logge» quando la sera porta a spasso il cane è sua figlia ventisettenne: «Senza drammatizzare, ma gente che si fa di eroina in centro non ne avevo mai vista» confessa a malincuore la docente di veterinaria. I giornali locali ci mettono del loro. Notte da incubo recita una locandina per riassumere due tentativi di furti andati a vuoto e vandalismi in una tensostruttura. E se si fosse fatto male qualcuno, come avrebbero titolato?
Dopo tre giorni di immersione urbana continuo afaticare parecchio ad associare a Pisa qualsiasi lemma imparentato con pericolo. La colpa che le facevamo, trent’anni fa, era di essere tranquilla al confine col letargico. È vero, intorno alla stazione non c’erano i maghrebini che si scambiano furtivamente dosi con giovanotti locali. E in piazza delle Vettovaglie si andava una volta all’anno alla Mescita a celebrare la fine del corso coni prof preferiti. Mentre ora è uno svacco di gente con bottiglie in mano a partire dal secondo pomeriggio. Il fotografo romano che abbiamo mandato sulle mie tracce è tornato deluso: aveva un’altra idea di degrado. Ma far notare che nella Capitale e in mille altri posti è peggio non rasserena chi vagheggia il «gioiellino» di una volta. Se anche è passata da 10 a 8 mentre il resto del Paese festeggia per un 6, costui sa di avere perso qualcosa. E tanto basta.
Le doglianze dei commercianti non finiscono più. Tra i candidati c’è chi propone una multa di cinquemila euro per gli imbrattatori. Chi vorrebbe mettere in rete tutte le telecamere a circuito chiuso. Uno promette «duemila nuovi posti di lavoro». Un altro lancia lo slogan «città dei doveri», in opposizione ai diritti su cui la sinistra avrebbe largheggiato. Simonetta Ghezzani, di Sinistra italiana, azzarda un’ipotesi: «Ma non è che questo boom recente di spaccate, di effrazioni senza rubare niente, è un po’ sospetto e fa il zgioco della destra?». Di certo è vera la seconda parte, ma la prima andrebbe provata.
Serfogli, il candidato Pd che i maggiorenti renziani hanno accettato obtorto collo, incassa bene, ma non sarebbe male vederlo controbattere. Quando glielo dico mi risponde candido che «in due minuti e mezzo non c’è tempo». È quasi mezzanotte e rientrando verso l’albergo in compagnia di Dario Danti, un prof di filosofia già molto amato assessore alla Cultura che oggi sostiene Serfogli con una lista civica, passiamo davanti alla sede del Pd. C’è quasi tanta vita quanto in piazza dei Cavalieri. «Ma perché non siete venuti a sostenere il candidato?» li apostrofa il Danti. Uno risponde: «Eravamo a incontrare Confesercenti». Se è una battuta, non lo fa ridere. Piuttosto ha l’aria di una riunione di corrente. Se c’è una cosa che accomuna il Pd pisano a quello nazionale sono le voluttuose spaccature interne. Ricomporle sarebbe un prerequisito. Vedremo che succede il 10 giugno. Perché Bruno, l’ex Le che manifestava con D’Alema, quando non c’è più nessuno ad ascoltare si sfoga con un urlo liberatorio: «Io voto Lega stavolta, hai capito!».

Riccardo Staglianò

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