Milioni di imposte non pagate: lo scandalo del rudere Pampana e dell’edificio in via Vespucci

Quasi 2 milioni di euro di imposte non pagate per l’edificio abbandonato in Via Vespucci nel quartiere della stazione e per l’area del rudere sul Lungarno, entrambi di proprietà della famiglia Pampana.

È questo lo scandaloso dato fornito dalla Sepi nel rispondere alle interrogazioni presentate dal nostro gruppo consiliare nell’ambito di una campagna che da anni portiamo avanti sugli immobili abbandonati e sulla connessione di tale abbandono col fenomeno dell’evasione e dell’elusione fiscale.

Per entrare nel dettaglio, si tratta di 1 milione di euro di imposte (ICI- IMU- Iscop) non pagate per l’area del rudere sul Lungarno. Si tratta di una cifra sottostimata, in quanto gli accertamenti per l’ICI/IMU sono relativi al periodo 2011/2015, e occorrerà capire quanto è stato versato negli ultimi anni.

Nel caso di via Vespucci, dove si lasciano volutamente vuoti da decenni varie decine di appartamenti, l’importo del credito vantato dal Comune è di circa 840 mila euro. Anche in questo caso si tratta di una cifra sottostimata, in quanto manca ad ora il dato sugli accertamenti (ICI-IMU-Iscop) dal 2016 al 2021.

In realtà il debito degli eredi Pampana con il Comune è molto più alto. A seguito della nostra interpellanza del marzo del 2020 avevamo, infatti, fatto emergere la cifra di 570 mila euro che i multiproprietari Pampana dovevano al Comune di Pisa a causa del mancato versamento delle imposte ICI e IMU per l’immobile di loro proprietà in via Marsala 34 a Riglione. E limitiamo le nostre considerazioni solo a queste proprietà, senza aver ancora fatto altre indagini.

Siamo davanti a un caso esemplare in cui rendita immobiliare, evasione fiscale e abbandono si mescolano insieme. È scandaloso che nella nostra città ci siano 171 alloggi di edilizia popolare pubblica vuoti perché la giunta Conti dice che non ci sono i soldi per sistemarli. Come è evidente da questi dati, i soldi ci sono e in abbondanza: manca la volontà politica di intaccare la rendita nella nostra città, pretendendo quando dovuto e utilizzando le risorse per dare risposte all’emergenza abitativa che la pandemia ha aggravato e che la fine del blocco degli sfratti renderà esplosiva nei prossimi mesi.

La vicenda è anche emblematica di un atteggiamento classista della giunta: mentre si inviano lettere agli inquilini morosi delle case popolari, ben sapendo le loro difficili situazioni economiche e lo stato di degrado in cui si trovano gli alloggi in cui vivono (come a Sant’Ermete), non si procede in maniera energica a pretendere quanto dovuto da una famiglia di multiproprietari immobiliari.

Questa situazione, non isolata, rimette al centro le proposte che fin dalla scorsa legislatura abbiamo presentato in Consiglio: a) lotta all’evasione attraverso un piano comunale ad hoc, implementando controlli e verifiche con l’uso della leva fiscale per contrastare l’abbandono, b) rigenerazione urbana per l’utilizzo a fini abitativi e sociali degli immobili abbandonati.

In particolare rilanciamo, per l’area del rudere sul Lungarno Galilei, la nostra proposta di restituirlo all’utilità pubblica, recuperando un collegamento tra il Bastione Sangallo – nella sua parte ancora da riqualificare e quella lungo il vallo dove è già prevista la realizzazione di verde pubblico – e il Lungarno, mediante la cancellazione dell’attuale previsione urbanistica di ricostruzione dei volumi preesistenti. Si realizzerebbe così una “porta verde” che si affaccia sul Lungarno proprio di fronte allo Scalo dei Renaioli, tappa turistica e meta ricreativa, che restituirebbe tutta la visuale del camminamento e del baluardo dal Lungarno stesso.

Pensiamo che la richiesta che viene dalla cittadinanza di un minore consumo di suolo debba essere soddisfatta, cancellando previsioni di edificazione inutili e dannose senza cedere a un presunto “diritto alla rendita e alla speculazione” avanzato da proprietari che tengono abbandonate aree e palazzi per anni e anni in attesa di monetizzare il loro valore, senza curarsi minimamente del bene pubblico. Occorre una inversione radicale della politica urbanistica: prima il bene pubblico, assicurando la “funzione sociale” della proprietà privata, come chiede la nostra Costituzione.

Una città in comune – Rifondazione Comunista

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