MOZIONE: Gaza: Cessate il fuoco, subito!

Ricordato che

il mattino del 7 ottobre 2023 Hamas ha annunciato l’inizio dell’Operazione “Alluvione Al-Aqsa”, lanciando un massiccio attacco missilistico dalla Striscia di Gaza verso Israele. Partito in coincidenza con la festa ebraica del Simchat Torah, l’attacco ha colto di sorpresa l’esercito israeliano. Lo stesso giorno milizie palestinesi hanno attaccato le postazioni militari israeliane aprendo cinque brecce nella barriera di separazione che chiude da ogni lato la Striscia di Gaza. Oltre a diverse basi militari, sono stati attaccati un festival musicale (uccidendo almeno 260 persone) e diversi kibbutz intorno alla Striscia di Gaza (uccidendo uomini, donne e bambini). Tra i 150 e i 200 civili israeliani sono stati presi in ostaggio e trasferiti a Gaza.

L’8 ottobre il governo israeliano ha dichiarato formalmente lo stato di guerra, per la prima volta dal 1973. Sono stati richiamati alle armi 300.000 riservisti, il numero più alto nella storia di Israele, con l’obiettivo dichiarato di “eliminare le capacità militari di Hamas e porre fine al suo governo sulla Striscia di Gaza”.

Il 9 ottobre il governo israeliano ha annunciato l’inizio di un “assedio totale” su Gaza, bloccando le forniture di cibo, acqua, elettricità e carburante per tutti i residenti (forniture su cui Israele ha il pieno controllo, in quanto forza di occupazione che controlla la Striscia per terra, per mare e per aria).

Dal giorno successivo la città di Gaza è diventata bersaglio di continui bombardamenti da parte dell’esercito israeliano, bombardamenti che non hanno risparmiato ospedali, edifici scolastici e universitari, residenze civili, moschee e chiese, e che si configurano come veri e propri crimini di guerra.

Dopo due settimane di bombardamenti, mentre l’esercito israeliano si appresta a lanciare un’operazione militare di terra, a Gaza la maggior parte degli ospedali non è più operativa, quelli che ancora operano sono a corto di carburante, l’acqua potabile è in molte zone esaurita e sostituita con acqua salata, la connessione internet e quella telefonica mobile è stata interrotta.

Ricordato altresì che

La Striscia di Gaza è lunga 40 chilometri e larga da un minimo di quasi sette a un massimo di circa quindici chilometri, per una superficie totale di 365 km 2 . Ha una popolazione di circa 2,3 milioni di persone, con una densità di 6.507 abitanti per km 2 , una delle più elevate del pianeta, il che rende ancora più devastanti i bombardamenti a cui è sottoposta.

Almeno 1 milione di abitanti è costituito dai rifugiati palestinesi (e dai loro discendenti) che hanno dovuto abbandonare forzatamente la Palestina nel 1948 a seguito della nascita dello Stato di Israele e della prima guerra arabo-israeliana.

Quasi il 40% della popolazione di Gaza è costituita da minori. Si stima che ci siano 50 mila donne attualmente in stato di gravidanza. Gaza dipende in larga parte da aiuti umanitari. Le statistiche della Federazione dei sindacati palestinesi stimavano, alla fine del 2022, un tasso di disoccupazione attorno al 55% dell’insieme della forza lavoro. A luglio 2022, il tasso di insicurezza alimentare era del 65% della popolazione, rispetto al 62,2% di giugno 2021, e il tasso di povertà era del 65%, rispetto al 59% del 2021.

Questi dati riflettono le condizioni di un vero e proprio stato di assedio: il blocco israeliano ed egiziano sulla Striscia è stato istituito in modo graduale nel corso degli anni ma si è intensificato notevolmente dopo che Hamas ha assunto il governo della Striscia nel 2007; lo stesso è stato criticato dall’ex-segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon, dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite e da altre organizzazioni dei diritti umani, in quanto è contrario alla risoluzione 1860 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvata l’8 gennaio 2009.

Nelle condizioni demografiche e sociali in cui si trova la Striscia, l’imposizione di un assedio totale e la sottoposizione a continui bombardamenti espongono la popolazione a rischi elevatissimi per la vita e l’incolumità.

Dall’inizio del conflitto armato, secondo i dati ufficiali: sono circa 1200 gli israeliani uccisi, nella stragrande maggioranza civili, mentre i palestinesi morti a causa degli attacchi israeliani su Gaza sono circa 8000, di cui il 67% donne e bambini a cui si aggiungono 15.000 feriti e almeno 500 dispersi.

Ricordato che Save the Children il 29 ottobre in un comunicato ufficiale ha reso noto che: “(…)dal 7 ottobre, sono stati segnalati più di 3.257 bambini uccisi, di cui almeno 3.195 a Gaza, 33 in Cisgiordania e 29 in Israele. Il numero di bambini uccisi in sole tre settimane a Gaza è superiore al numero di bambini uccisi in conflitti armati a livello globale – in più di 20 Paesi – nel corso di un intero anno, negli ultimi tre anni.

I bambini rappresentano più del 40% delle 7.703 persone uccise a Gaza e più di un terzo di tutte le vittime nei Territori Palestinesi Occupati e in Israele. Il bilancio delle vittime è probabilmente molto più alto, poiché ad essi si potrebbero aggiungere circa 1.000 bambini dispersi a Gaza che si presume siano sepolti sotto le macerie. (…)

Al numero delle vittime si aggiunge il bilancio dei feriti. Secondo quanto riportato, almeno 6.360 bambini di Gaza sono stati feriti, così come almeno 180 in Cisgiordania e almeno 74 bambini in Israele. Più di 200 persone, tra i quali ci sono dei minori, rimangono in ostaggio a Gaza.

Il rischio che i bambini muoiano a causa delle ferite non è mai stato così alto; le Nazioni Unite hanno riferito che un terzo degli ospedali della Striscia di Gaza non è più operativo a causa dei tagli all’elettricità e dell’assedio totale da parte del governo di Israele, che blocca l’ingresso di beni come carburante e medicine. Secondo quanto riportato da Medici senza Frontiere, la carenza di anestesia ha costretto il personale medico ad eseguire amputazioni a bambini senza alcun sollievo dal dolore”.

Considerato che

l’occupazione militare israeliana dei territori palestinesi è in atto da oltre 75 anni;

l’espandersi continuo degli insediamenti colonici illegali nei territori occupati di Cisgiordania e Gerusalemme est, insieme alla costruzione del muro di annessione e alla distruzione di case e all’espulsione di palestinesi, nonché il protrarsi dell’embargo sulla Striscia di Gaza, abbiano compromesso di fatto qualsiasi sforzo per l’attuazione del processo di pace;

nell’ottobre del 2022, di fronte all’Assemblea generale dell’ONU, il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto ad un alloggio adeguato ha presentato un rapporto in cui afferma che il sistema di oppressione e di discriminazione razziale che porta alla distruzione delle abitazioni palestinesi è “a dir poco apartheid”.

Evidenziato

come la comunità internazionale in tutti questi anni abbia sostanzialmente permesso al governo israeliano il costante ricorso alla forza delle armi, alla militarizzazione del territorio, alla costruzione di muri, al sistema di apartheid, alla negazione dei diritti elementari del popolo palestinese.

Sottolineato

come sempre più spesso in Israele stiano emergendo voci critiche sull’operato del governo israeliano, da parte di cittadine e cittadini ebrei. Ricordiamo l’organizzazione Physicians for Human Rights Israel (PHRI), che chiede un immediato cessate il fuoco, un accesso degli aiuti nella Striscia di Gaza, e il rilascio degli ostaggi. Ricordiamo inoltre l’associazione Breaking the silence: nata da veterani ed ex combattenti dell’esercito israeliano, raccoglie e pubblica testimonianze di soldati che operano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, organizza tour, letture e incontri. Dopo l’attacco di Hamas, l’8 ottobre, quest’associazione ha scritto: “la politica di sicurezza di Israele, da decenni ormai, è ‘gestire il conflitto’. I governi israeliani che si susseguono insistono in un’ondata di violenza dopo l’altra, come se tutto ciò potesse fare la differenza. Parlano di ‘sicurezza’, ‘deterrenza’, ‘cambiare l’equazione’. Tutte queste sono parole in codice per ‘bombardare a tappeto la Striscia di Gaza’, sempre con la giustificazione di colpire bersagli terroristici, ma sempre anche con un pesante bilancio di vittime civili. Tra un’ondata e l’altra di violenza, rendiamo la vita impossibile ai cittadini di Gaza e poi ci sorprendiamo quando la situazione esplode. Parliamo di ‘normalizzazione’ delle relazioni con gli Emirati Arabi Uniti e ora con l’Arabia Saudita, sperando che il mondo chiuda un occhio sulla prigione a cielo aperto che abbiamo costruito nel nostro cortile. Oltre all’insostenibile violazione dei diritti umani, abbiamo creato un enorme problema di sicurezza per i nostri stessi cittadini. La domanda che tutti gli israeliani si fanno è: dov’erano i soldati ieri? Perché l’esercito era apparentemente assente mentre centinaia di israeliani venivano massacrati nelle loro case e nelle strade? La triste verità è che erano ‘impegnati’. In Cisgiordania. Mandiamo i soldati a proteggere le incursioni dei coloni nella città palestinese di Nablus, a inseguire i bambini palestinesi a Hebron, a proteggere i coloni durante i pogrom. I coloni chiedono che le bandiere palestinesi siano rimosse dalle strade di Hawara; i soldati sono mandati a farlo. Il nostro paese ha deciso, decenni fa, che è disposto a rinunciare alla sicurezza dei suoi cittadini nelle nostre città per mantenere il controllo su una popolazione civile di milioni di persone tenuta sotto occupazione, in nome degli obiettivi messianici dei coloni.” Ricordiamo infine Yesh Din – Volunteers for Human Rights, un’organizzazione non-profit israeliana: quest’associazione, finanziata tra l’altro anche dall’Unione Europea, vede nell’occupazione israeliana la causa principale della violazione dei diritti umani ed è quindi contro di essa. Nel giugno di quest’anno, 56 anni dopo l’occupazione da parte di Israele dei Territori Palestinesi Occupati, ha presentato insieme ad altre 16 organizzazioni per i diritti umani un rapporto sulla violenza delle forze di sicurezza israeliane, l’annessione dei territori, lo sgombero dei palestinesi e l’attacco alle ONG concludendo che ci si trovava in una situazione inaccettabile ed esplicitando un’escalation che aveva già raggiunto il culmine. Inoltre, l’associazione evidenziava come dalle elezioni del novembre 2022 fosse stata lanciata un’offensiva politica contro organismi critici o indipendenti all’interno del sistema israeliano, accompagnata da iniziative legislative che rischiavano di travolgere i già precari controlli esistenti e di conferire all’esecutivo poteri quasi illimitati.

Ricordato inoltre che

A Gaza Israele è potenza occupante in quanto esercita un’autorità di fatto sui confini terrestri, marini e aerei, controllandone l’accesso a persone, merci (compresi medicinali), acqua, fonti di energia e che l’articolo 42 del Regolamento dell’Aja del 1907, recita: «Un territorio è considerato come occupato quando si trovi posto di fatto sotto l’autorità dell’esercito nemico». Non si menziona la presenza di truppe sul territorio, e dunque il ritiro da Gaza del 2005 non modifica lo status dell’occupante.

La popolazione occupata non ha alcun dovere di obbedienza nei confronti della potenza occupante (articoli 45 e 68 della quarta Convenzione di Ginevra del 1949); può agire per veder riconosciuto il suo diritto all’autodeterminazione, anche con la lotta armata (risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni unite n. 2649 (XXV), del 30 novembre 1970, e n. 35/35, del 14 novembre 1980).

Il conflitto fra Israele e Palestina è qualificato come conflitto internazionale sia dalla dottrina giuridica maggioritaria, sia dalla prassi giurisprudenziale israeliana.

In materia di diritto internazionale umanitario, ossia dell’insieme di regole su come vanno condotte le guerre e le azioni militari allo scopo di limitarne gli effetti distruttivi, lo Stato di Israele ha ratificato le quattro Convenzioni di Ginevra del 1951, mentre non ha accolto i due Protocolli aggiuntivi del 1977.

A nome della Palestina, l’Autorità Nazionale Palestinese ha aderito alle quattro Convenzioni e al Primo Protocollo aggiuntivo il 2 aprile 2014.

La ratifica della Quarta Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra impone ad entrambe le entità l’osservanza dei principi contenuti nella suddetta Convenzione, la cui aperta violazione costituisce crimine di guerra.

Nel 2004 la Corte Internazionale di Giustizia ha negato che Israele possa invocare l’articolo 51 contro attacchi provenienti dal territorio occupato. Essendo Israele potenza occupante, non si tratta di un atto di aggressione. In ogni caso nemmeno il diritto alla legittima difesa potrebbe legittimare le violazioni del diritto umanitario delle Convenzioni di Ginevra.

Evidenziato che

L’attacco armato del 7 ottobre guidato da Hamas, diretto anche contro civili, così come la successiva presa di ostaggi civili, costituiscono aperte violazioni del diritto internazionale umanitario, specificamente codificate nel primo Protocollo Addizionale del 1977. Ne derivano altresì possibili crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come sancito agli articoli 7 e 8 dello statuto della Corte Penale Internazionale.

L’azione del governo e dell’esercito israeliano non rispetta due dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario: il principio di distinzione tra militari e civili, che impone di evitare di coinvolgere i civili nei combattimenti; il principio di proporzionalità della risposta, in relazione agli effetti sulla popolazione civile dell’obiettivo militare che si vuole perseguire.

L’esercito israeliano, in base alle informazioni disponibili, sta violando almeno i seguenti articoli della IV Convenzione di Ginevra:

– Art. 18 (divieto di attacco a ospedali civili);
– Art. 20 (obbligo di protezione del personale addetto esclusivamente a ospedali civili);
– Art. 21 (divieto di colpire trasporti di malati o feriti);
– Art. 23 (libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile, anche se nemica; autorizzazione al passaggio di qualunque invio di viveri indispensabili, di capi di vestiario e di ricostituenti riservati ai fanciulli d’età inferiore ai quindici anni, alle donne incinte o alle puerpere);
– Art. 33 (divieto di pene collettive, di qualsiasi misura d’intimazione o di terrorismo).
– Art. 53 (divieto di distruzione di beni mobili o immobili appartenenti individualmente o collettivamente a persone private, allo Stato o a enti pubblici, a organizzazioni sociali o a cooperative, salvo nel caso in cui tali distruzioni fossero rese assolutamente necessarie dalle operazioni militari);
– Art. 55 (dovere di assicurare il vettovagliamento della popolazione con viveri e medicinali; in particolare, viveri, medicinali e altri articoli indispensabili);
– Art. 56 (dovere di assicurare e di mantenere, con il concorso delle autorità nazionali e locali, gli stabilimenti e i servizi sanitari e ospedalieri, come pure la salute e l’igiene pubbliche nel territorio occupato).

Ricordato e condiviso

il recente intervento pronunciato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite al Consiglio di Sicurezza dell’ONU (che si allega), oggetto invece di un attacco da parte dell’Ambasciatore di Israele che ne ha chiesto le dimissioni.

Il Consiglio Comunale di Pisa

esprime forte preoccupazione per l’escalation militare, l’imminente (e in parte già avviata) invasione di terra di Gaza, il massacro e la distruzione di Gaza che possono portare al concreto rischio di un allargamento del conflitto ad altri paesi dell’area, con conseguenze imprevedibili e incalcolabili per la pace e la sicurezza internazionali; condannando tutte le azioni mosse a danno delle popolazioni civili, in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani.

Stigmatizza e ritiene gravissima la decisione del Governo Italiano di astenersi sulla risoluzione approvata dall’Assemblea generale dell’ONU in cui si chiedeva al primo punto una “tregua umanitaria immediata, duratura e prolungata” a Gaza.

Ritiene assolutamente grave ed inammissibile la posizione unilaterale assunta dalla Presidente della Commissione Europea a sostegno della politica di Israele, duramente criticata da una lettera sottoscritta da oltre 800 funzionari dell’Unione Europea che evidenziano di contro la necessità di una azione dell’UE per farsi promotrice di una azione per il cessate il fuoco, svolgendo così un ruolo attivo nella de-escalation; ritiene al contempo irresponsabile che l’Unione Europea, proprio mentre si cinge d’assedio un’area tra le più densamente popolate del mondo, discuta di possibili interruzioni dei fondi della cooperazione diretti alla popolazione palestinese.

Chiede che il governo italiano e le istituzioni europee si impegnino, invece in tutte le sedi internazionali opportune, per ottenere:

– un immediato cessate il fuoco generale a Gaza, in Cisgiordania, in Israele;
– la fine immediata del blocco dei beni e dei servizi fondamentali (acqua potabile, luce, carburante, cibo, medicine in primis) inflitto alla popolazione civile di Gaza;
– l’avvio di una trattativa internazionale per il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani, a partire dai soggetti più vulnerabili, e il rilascio dei prigionieri palestinesi detenuti per motivi politici o irregolarmente nelle carceri israeliane;
– l’apertura di corridoi umanitari per chiunque voglia lasciare Gaza;
– l’avvio di operazioni di solidarietà internazionale per la popolazione sfollata dentro Gaza, che ha visto la propria abitazione distrutta dai bombardamenti.

Chiede altresì che il governo italiano e le istituzioni europee si impegnino, in tutte le sedi internazionali opportune, per ottenere l’avvio di un vero negoziato di pacificazione, che garantisca al contempo:

– la piena autodeterminazione del popolo palestinese e il riconoscimento dei suoi diritti;
– la fine del regime di occupazione, colonizzazione e apartheid da parte di Israele, secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite e le relazioni della Relatrice Speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori Occupati, nonché secondo le raccomandazioni delle principali organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Amnesty International a Human Rights Watch;
– la sicurezza della popolazione civile palestinese e israeliana.
– il coinvolgimento di donne e giovani israeliane/i e palestinesi nel processo di pace, attuando le Risoluzioni ONU 1325 e 2250 che intendono dare voce a nuovi attori sociali per uscire dalla spirale di violenza.

Francesco Auletta – Diritti in comune: Una città in comune – Unione Popolare

Condividi questo articolo

Lascia un commento