Municipio dei Beni Comuni si prepara alla sciopero generale: “Dalla Facciata di Palazzo Boyl il messaggio alla città”

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Oggi si vota in Senato per l’approvazione del Jobs Act, “la più organica riforma del mercato del lavoro dopo lo Statuto dei lavoratori”, ha detto qualcuno nei giorni scorsi. La più organica e devastante compromissione dei diritti nel mondo dell’occupazione; la più organica e ben ponderata macchina da precariato, che mette un punto definitivo alle rivendicazioni a venire, uniformando l’Italia alle peggiori pseudo democrazie neoliberiste d’occidente; la più organica e chirurgica restaurazione di una classe padronale che ha trovato in Matteo Renzi il suo più abile e puntuale esecutore; la più organica e violenta struttura di repressione del dissenso, che ridurrà ciascuno in una condizione di ricatto perenne, senza uscita. Questo, invece, noi diciamo. Se è sensato affermare che la verità non ha mai un volto solo, quella pronunciata sul Jobs Act è un mostro a più teste. La prima azione che crediamo sia utile compiere, come cittadine, cittadini, lavoratrici, lavoratori, è quella di semplificare, spogliare la propaganda di stato dei suoi orpelli, dei suoi ragionamenti artificiosi. Il Jobs Act è l’espressione diretta di un progetto volto a modificare l’assetto della Repubblica, perché ammette, nella pratica, la negazione del primo articolo della Carta costituzionale. La nostra Repubblica, espressamente fondata sul lavoro, sarà da oggi in poi fondata sul lavoro precario, non garantito, occasionale, discontinuo, privato di ogni garanzia e di ogni diritto acquisito in un secolo di lotte. Il lavoro tornerà a essere l’espressione di un rapporto gerarchico verticale, in cui il datore di lavoro avrà – letteralmente – diritto di vita e di morte sul lavoratore. Una casa – per quanto solida possa essere, per quanto maestose le sue strutture – senza fondamenta è destinata a crollare. E il crollo sarà diffuso, partirà dai territori, dai singoli centri che insieme compongono la galassia del nostro paese. Per questa ragione, la resistenza dovrà partire da lì, da ogni singola vertenza aperta, e non soltanto lavorativa. Perché se è vero che il lavoro è il perno di ogni cosa nelle nostre vite, allora alla sua difesa si connettono la tutela del territorio e dei suoi beni, della comunità che vive in esso, del diritto a una vita migliore, del diritto ai servizi, e all’emancipazione da un’esistenza sempre più povera. Quest’oggi dalla facciata di Palazzo Boyl – simbolo di uno scempio urbanistico al quale troppi hanno fatto l’abitudine – il Municipio dei Beni Comuni ha calato il suo messaggio alla città, e alla nazione, forte e chiaro: “No al Jobs Act – 12 dicembre Sciopero Generale”. La riapertura di un palazzo storico abbandonato sul Lungarno pisano significa anche questo. Significa riportare al centro del dibattito cittadino i meccanismi di un sistema di potere consolidato, in cui la proprietà privata è sovrana incontrastata, non tanto del suo avere, ma dello stesso establishment politico. Logora, abbandona, sperpera, consuma e non ripaga, nel silenzio assoluto delle istituzioni, sebbene i cani da guardia di Palazzo Gambacorti dicano il contrario. Un paradigma pressoché identico a quello che scandisce le politiche del lavoro, oggi, in Italia. Semplificare, dicevamo, ma non come voglio i nostri governanti. Noi vogliamo strappare il velo sulla grande menzogna, e portare in piazza le nostre vite di precarie e precari, disoccupate e disoccupati, studentesse e studenti senza un futuro, che sono la testimonianza più cristallina di come un rovesciamento delle parti sia oggi più che mai necessario. L’unica riforma del lavoro che ci interessa, è quella che si fonda sulla tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, e sulla garanzia assoluta, senza eccezioni, della loro dignità. È un vecchio adagio, ma valido più che mai: non c’è pace senza lavoro. Municipio dei Beni Comuni

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