Paesaggio, approvato il Piano Marson fa arrabbiare il Consiglio

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Paesaggio, approvato il Piano Marson fa arrabbiare il Consiglio

Dopo l’accesa discussione interna al Pd e le modifiche volute dal Ministero dei Beni culturali passa il documento grazie all’opera di mediazione del presidente Rossi. Lo strappo dell’assemblea con l’assessore

Dopo l’accordo col Ministero dei Beni culturali, che ha riportato il Piano paesaggistico ad un versione più vicina a quella inizialmente stabilita dall’assessore regionale all’Urbanistica Anna Marson, molti i malumori nel Pd. Poi ha prevalso la disciplina di partito e il 27 marzo a tarda sera, i consiglieri Pd hanno votato il Piano con le modifiche concordate a Roma tra il presidente della Regione Enrico Rossi e il ministro Dario Franceschini. Il Piano paesaggistico è stato approvato con 32 voti favorevoli del centrosinistra e della sinistra e 15 contrari delle destre. Immediatamente dopo l’approvazione, il fattaccio in Consiglio regionale. L’assessore Marson ha cercato l’assolo preparato da tempo. Prendendo la parola ha rivendicato il lavoro svolto perla redazione del Piano, bacchettando i consiglieri che lo avevano appena approvato, rei secondo lei per aver cercato di introdurre delle modifiche ispirate da interessi privati. Il consigliere Pd Gianluca Panini a quel punto non ce l’ha fatta: ha accusato di «stupidità politica» e di «supponenza rispetto al Consiglio» l’intervento dell’Assessore, concludendo: «tra qualche settimana lei, come assessore, sarà solo un brutto ricordo».
Rottura definitiva quindi tra il Pd e l’Assessore secondo la quale i conflitti intorno al Piano derivano dalla contrapposizione tra interessi collettivi (buoni) e interessi privati (cattivi). La vecchia distinzione tra il diavolo e l’acqua santa tanto cara ad una parte della sinistra. La realtà è più complessa poiché il paesaggio è un’opera collettiva cui contribuiscono in maniera significativa gli interessi privati. Interessi che vanno regolati ma senza dei quali si avrebbe ben poco; e che si esprimono anche nella rappresentanza in Consiglio regionale cui è demandata l’autonoma sintesi politica.
Ed è quello che ha cercato di fare con un certo successo il presidente Rossi, alla cui opera di mediazione si deve questa approvazione all’ultimo tuffo dato che il 28 marzo il Consiglio ha tirato giù il bandone essendo giunto al termine dei cinque anni di carica.
Rossi sin dall’inizio del suo mandato ha abbandonato la tradizionale linea «sviluppista» del Pd ed ha scommesso di poter cavalcare la tigre dell’ambientalismo e di una ideologia che vedrebbe bene una società dedita alla coltivazione delle zucchine e dei pomodori.
I redattori del piano sono stati lasciati liberi di scatenarsi, sino a che sono state poste le briglie politiche derivanti dagli interessi che si sono sentiti colpiti dal piano: prima quelli dei cavatori delle Apuane, poi dei viticoltori, coi quali è stato raggiunto un accordo che ha tenuto, poi di nuovo i cavatori e gli interessi degli albergatori della costa portati dalle componenti del Pd più legate all’area apuana e alla costa: Ardelio Pellegrinotti e Matteo Tortolini.
Da notare che la componente dei costruttori edili non si è fatta molto sentire: la crisi ha già fatto da sola molto più dei paletti dell’urbanistica nel ridurre a più miti consigli le loro velleità espansive.
Infine ci ha pensato il Ministero dei beni culturali, dove l’influenza delle idee ambientaliste è garantita dal sottosegretario Ilaria Borletti Buitoni ex-presidente del Fai (il Fondo per l’ambiente), a porre i vincoli che riteneva più opportuni per la tutela dei beni paesaggistici, cioè le aree come le montagne al di sopra dei 1.200 metri e la fascia costiera.
Insomma, ognuno che tira dalla sua parte: il Ministero che esercita un potere esterno di controllo, i consiglieri Pd ai quali mettere la mordacchia, un piano già poco comprensibile di suo e con i continui cambiamenti divenuto come la minestra dei frati. Questi i problemi di Rossi. Alla fine l’approvazione quasi miracolosa. In conclusione: accordo coi viticoltori riuscito, meno quello coi cavatori per i quali è stata istituita la commissione regionale per la valutazione paesaggistica delle attività estrattive.
Il risultato è un piano che da un lato assomiglia ad un macropiano urbanistico con norme simili a quelle di un regolamento edilizio, come il 10% massimo di espansione degli alberghi della fascia costiera, e dall’altro naviga con la vaghezza di affermazioni la cui traduzione in norme risulta quantomeno difficile. Ne sapranno qualcosa i comuni, specie i piccoli, quando cercheranno di tradurre norme del tipo: «mantenere la leggibilità della struttura insediativa di crinale» nel loro regolamento urbanistico che dovrà essere comprensibile a tutti. Ma questo sarà affare della nuova Giunta.

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