Piano atto quinto: com’era e com’è

CORRIERE FIORENTINO Pagina:3

Piano atto quinto: com’era e com’è

Qpattro anni di lavoro, l’ok della giunta, i compromessi, i cambi di rotta Così Democratici e centrodestra hanno riscritto regole e tolto vincoli.

Più che di un piano paesaggistico emendato, quello partorito ieri dalla VI commissione del Consiglio regionale, sembra un piano ribaltato. È l’ultima tappa (ma forse non quella definitiva, in attesa dell’intervento in extremis di Enrico Rossi) di un lungo tira e molla su un lavoro iniziato nel 2011. La prima versione, oltre 3 mila pagine arrivate dopo tre anni di lavoro, coordinato dall’assessore Anna Marson, fu adottata lo scorso luglio dalla giunta. Ma a fine agosto si scatenò la protesta delle associazioni dei viticoltori, che trovò una sponda nell’assessore all’Agricoltura Gianni Salvadori. Grazie alla mediazione di Rossi, e dopo l’analisi di 60, osservazioni arrivate da Comuni, partiti, associazioni e cittadini, si arrivò a inizio dicembre alla seconda versione, che fece chiarezza sui punti controversi e sedò le proteste di gran parte dei viticoltori. Ma il mese scorso alcuni consiglieri regionali del Pd annunciarono una serie di emendamenti (con al centro, stavolta, il capitolo delle cave), che fecero infuriare Marson. Così, il governatore, costretto di nuovo a mediare, a fine febbraio ha proposto il «Lodo Rossi». Risultato, una volta che il testo è arrivato all’analisi della VI commissione (Territorio e Ambiente), gli emendamenti incrociati dei consiglieri Pd e Forza Italia hanno partorito una quinta versione, che stravolge (soprattutto in tema di cave e di coste) tutte le precedenti stesure. In attesa della sesta stesura che Rossi dovrebbe presentare martedì o mercoledì in Consiglio, una volta sentito il parere del governo.

Il limite dei 1.200 metri non è più un tabu Ribaltato il «lodo Rossi»

Le cave di marmo sulle Apuane è il capitolo su cui gli emendamenti della commissione cambiano in modo più radicale il Piano concepito dalla giunta. Sono gli articoli 9, io e 11 della disciplina dei Beni paesaggistici, il punto chiave. Dove era consentito, sopra i 1200 metri di quota, riaprire cave dismesse negli ultimi 20 anni, ora il limite temporale è abolito e sarà possibile riaprire anche quelle abbandonate da secoli. Il recente lodo Rossi parlava del divieto di aprire nuovi fronti di cava «in aree integre»; ora l’espressione è sostituita da «vette, crinali versanti integri»: la conseguenza è che se su un crinale c’è anche solo una piccola area già oggetto di cava, si potrebbe scavare. Inoltre, il testo precedente ammetteva la riattivazione di cave dismesse e l’ampliamento di cave esistenti «entro» i perimetri autorizzati; ora quell’«entro» diventa «oltre». Tradotto, si potrebbe scavare il marino anche in aree finora vietate. Questa modifica, tuttavia, si riferisce all’ultima versione del Piano, quella partorita dal cosiddetto «lodo Rossi»: nella versione adottata dalla giunta a luglio il testo appariva molto più ambiguo e lasciava spazio a diverse interpretazioni. L’accordo Marson-Salvadori e il successivo Lodo Rossi avevano chiarito l’intoccabilità dei cosiddetti «circhi glaciali» (le depressioni d’alta montagna); la stesura della VI commissione ribalta la prospettiva e sceglie la strada opposta. Quanto alle schede d’ambito sulle Apuane, si elimina l’obiettivo di ridurre l’impatto delle cave, si cancellano i passaggi in cui si parlava dei fenomeni di inquinamento dei fiumi causati dalla marmottola, così come quelli che chiedevano la riduzione delle attività di scavo su Monte Sagro e la Valle di Equi. E vengono cambiati passaggi come «non alterare ulteriormente la morfologia» delle montagne con un più smussato «salvaguardare la morfologia».

Le dune non sono intoccabili

Costruire o no sulle coste e sulle dune? A questa domanda il piano Marson rispondeva con un secco no, mentre la nuova versione apre molte possibilità alle nuove edificazioni. In particolare, c’è un emendamento nella scheda dedicata al «litorale sabbioso Apuanoversiliese» ; a presentarlo è stata Forza Italia, che però ora, con Nicola Nascosti, ammette: «E uscito un po’ diverso, forse siamo andati oltre…». Dal no alle nuove edificazioni lungo costa, infatti, si passa al sì agli ampliamenti degli edifici turistici. Il nuovo testo ora apre alla «possibilità di realizzare gli interventi di adeguamento funzionale delle strutture esistenti a destinazione turistico-ricettiva e ricreativa adeguamenti, ampliamenti (…) anche con cambio di destinazione, previsti negli strumenti urbanistici». Sono due gli elementi chiave del cambio di direzione: la parola «ampliamenti», che consente ad esempio agli alberghi sul mare di poter allargarsi; e l’espressione «strumenti urbanistici» che restituisce ai Comuni la facoltà di decidere. Il vecchio piano intendeva mettere lo stop al consumo di suolo lungo il litorale con la Regione garante; il nuovo testo dà ai Comuni il diritto di decidere sulle nuove edificazioni. Ma non è l’unico caso: nella scheda d’ambito sulle Colline Metallifere, sparisce il passaggio in cui il piano chiedeva di evitare tra San Vincenzo, Follonica, Scarlino e l’Isola d’Elba, «ulteriori processi di frammentazione a opera di nuove infrastrutture». Anche qui, dopo l’emendamento di Matteo Tortolini (Pd) il piano perde la sua capacità di imporre regole. E dove si diceva di «evitare» (da San Vincenzo a Follonica) la proliferazione delle piattaforme turistiche lungo il litorale, ora si parla di «qualificare l’insediamento». Insomma, anche sulle dune potrebbero spuntare nuove

strutture.

Vigneti e boschi, poche correzioni Resiste ïl patto Marson-Salvadori

L’agricoltura e i boschi, di tutti gli argomenti trattati in sede di commissione, è risultato l’argomento meno scalfito dagli emendamenti. La prima stesura del piano, adottata dalla giunta a luglio, era stata già oggetto, infatti, di una lunga riscrittura seguita alle proteste delle associazioni dei viticoltori e dal successivo compromesso tra gli assessori Anna Marson e Gianni Salvadori. Il risultato, nel testo partorito nello scorso autunno, era stato quello di indicare in modo specifico le criticità (le vigne estensive e gli sbancamenti delle colline), riconoscendo così il diritto della stragrande maggioranza dei coltivatori ad investire e ampliare le vigne. Per questo, in commissione il Pd ha respinto gli emendamenti presentati da Forza Italia, in particolare sulla Val d’Orcia. Qua e là, nelle 4 mila pagine del piano, appaiono comunque alcune modifiche significative: per la Gaifagnana, ad esempio, sparisce l’obiettivo di valorizzare «la vitalità e produttività dei terreni coltivati» come strumento utile a contrastare il consumo di suolo e l’urbanizzazione dei crinali; e scompare dall’elenco delle criticità la «frammentazione» delle foreste causata dalla realizzazione degli impianti sciistici.

Serchio, interventi possibili nell’alveo Il conflitto con la legge post alluvione

Uno tra gli aspetti più controversi del piano, è la sua capacità di convivere con le leggi già in vigore. Così, succede che alcuni degli emendamenti approvati dalla commissione Territorio e Ambiente rischino di scontrarsi con quanto approvato in passato dalla stessa Regione: fu proprio il governatore Rossi, poco dopo l’alluvione di Aulla, a volere la legge contro l’edificazione negli alvei dei fiumi e nelle zone ad alto rischio idraulico, nel 2012; oggi, gli emendamenti al piano eliminano i passaggi in cui si chiede di ridurre «i processi di artificializzazione degli alvei, delle sponde e delle aree di pertinenza fluviale». Quanto agli impianti idroelettrici, scompare l’indicazione a limitarli in caso di ecosistemi di alto valore naturalistico. Nella nuova stesura del piano, poi, cambia anche l’approccio culturale: così, gli emendamenti hanno cancellato molti dei riferimenti geografici che indicavano le criticità. Eppure, accade il contrario quando si parla di aspetti positivi; ed ecco che dove si esaltava il «valore storico identitario» di alcuni laghi artificiali, sono stati inseriti altri bacini come meritevoli di elogio; e anche le dighe diventano rappresentative dei valori da difendere.

Cancellato il divieto sui capannoni E per l’Elba sparisce il no al mattone

La stesura del piano approvata ieri riapre la possibilità di edificare in aree in cui il mattone era stato precluso. Punto cardine è la «dispersione insediativa»: mentre Marson cercava di mettere un freno al consumo di suolo cercando di concentrare le aree di insediamento urbano, molti di quei passaggi spariscono. Altro punto su cui gli emendamenti Pd vanno a incidere, è «l’effetto barriera» costituito dagli edifici lungo le autostrade e le principali arterie (ad esempio An, Sarzanese e Aurelia): in questo caso la VI commissione ha scelto di eliminare le frasi che chiedevano il «contenimento dell’urbanizzazione» e la salvaguardia dei «varchi inedificati». Obiettivo degli emendamenti voluti Pellegrinotti (Pd) è «permettere alle attività già esistenti di potersi sviluppare e ampliare». Le possibilità di nuove edificazioni si riapre ad esempio anche all’Elba dove sparisce l’indicazione a evitare «ulteriori processi di frammentazione a opera di nuove infrastrutture o dell’urbanizzato»; inoltre, l’obiettivo di «contrastare ulteriori espansioni dell’urbanizzato», diviene «armonizzare con il paesaggio le eventuali ulteriori espansioni dell’urbanizzato».

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