Pisa, capitale di chi non ha un progetto culturale

Alla fine Pisa non è nemmeno tra le prime dieci finaliste per il titolo di Capitale italiana della cultura. “Volterra sbaraglia Pisa, suo capoluogo di provincia”, scrive il «Corriere fiorentino». Il sindaco si affretta a dichiarare che “il risultato di oggi va a sommarsi a quello altrettanto sfortunato del 2015”, anche se allora arrivò in finale e stavolta è stata battuta, oltreché da Volterra, tra le altre da Cerveteri, Pieve di Soligo, Procida e Verbania. Niente male.

Parlare in questi termini è assurdo, soprattutto per chi, come noi, ha criticato fin dalla sua istituzione questa specie di lotteria istituita dal MiBACT. Ma il lavoro presentato stavolta era davvero imbarazzante. Tanto che avevamo proposto che il dossier redatto da Dario Matteoni (ex assessore al Comune di Livorno), fosse premiato al Festival del ridicolo della città labronica, ma evidentemente neanche per quello è stato ritenuto all’altezza. Effettivamente la lettura delle ben cinquantanove pagine del dossier era faticosa, perché priva di qualsiasi idea e, al contempo, condita di paroloni, frasi fatte e citazioni colte. L’assunto era: visto che la città reale è un disastro, meglio investire in quella virtuale, a partire dalle nuove tecnologie “come strumento di accesso alla cultura per (…) conservare, anche nella virtualità del nostro vivere, la convinzione di aderire con consapevolezza a una comunità di riferimento”. Alla terza riga cascano le braccia.

Quel dossier vendeva fumo. Lo abbiamo analizzato da cima a fondo, a partire dai cantieri virtuali di potenziamento della rete 4G e sperimentazione 5G all’interno della città, dotando i luoghi della cultura di un sistema di ibridazione fibra/wifi per portare un’efficace connettività “anche all’interno dei palazzi storici”. Insomma, ciò che accade in più o meno tutte le città europee, addirittura ciò che accade già anche da noi ovvero “la creazione di una cartina e un contenitore di percorsi e itinerari tematici e personalizzabili per il territorio”.

E poi i “cantieri fisici” che intendevano rilanciare i musei dei Lungarni grazie al battello (Navicelli srl era nel Comitato promotore) e il cantiere della Piazza del Duomo, con tutto ciò che accade da trent’anni circa (interventi di conservazione e restauro di Cattedrale, Campanile, Battistero e Camposanto e “cantieri scuola” con l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma). A chi la volevano raccontare? Si facevano passare come grandi novità manifestazioni di successo, a volte boicottate da questa stessa giunta (basti pensare al Pisa Book Festival). Insomma, si scriveva “Hub di sperimentazione dell’iper-connessione umana e digitale”, ma si leggeva fuffa. Era troppo anche per il Ministero.

Due domande però sorgono spontanee: quanto è costato questo lavoro di progettazione? E ancora, cosa ne sarà adesso della Biblioteca Universitaria che il dossier prometteva di “restituire alla collettività” in caso di vittoria del montepremi? La città reale – fatta di studenti, professori, studiosi – se ne può definitivamente scordare?

Una città in comune

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