Pisa è un buon esempio del mutamento di pelle della “sinistra” italiana negli ultimi trent’anni nel campo delle scelte amministrative. Delle pratiche (più o meno) virtuose delle vecchie giunte rosse è rimasta solo una retorica ormai del tutto priva di referenti concreti. E forse neanche più quella, sostituita sempre più da un mantra neoliberista, altrettanto vacuo ma purtroppo molto più vicino alla realtà dei fatti.
Le “politiche urbanistiche” pisane non differiscono infatti da quelle che sono divenute egemoni in tutta l’Italia nel corso degli ultimi trent’anni: abdicazione dell’amministrazione pubblica al proprio tradizionale ruolo di progettazione e regolazione dello sviluppo territoriale; mano sostanzialmente libera a gruppi organizzati di percettori di rendita fondiaria, di costruttori, di operatori del mercato edilizio e di istituti di credito ad essi collegati; intreccio di carriere politiche e carriere imprenditoriali; formazione di complessi blocchi di potere ruotanti essenzialmente attorno al cemento. Sotto il manto ideologico – peraltro sempre più consunto – di una imprescindibile modernizzazione della città guidata dalla razionalità del mercato, della metropoli come snodo e strumento di competitività e dello sviluppo delle funzioni terziarie, si è lasciato decidere a questi soggetti opachi la sorte del territorio comunale.
pisaLa priorità di questa “politica urbanistica” è divenuta in buona sostanza il sostegno all’accumulazione di rendita e profitti di pochi e ben individuati soggetti, mettendo sullo sfondo quando non tralasciando del tutto la razionalizzazione dei trasporti, l’edilizia popolare e universitaria, la riqualificazione urbana e ambientale, la cura e il restauro dell’esistente, una ripartizione più equa della tassazione riguardante la casa. Tralasciando insomma gli obbiettivi che sono la stessa ragione di essere dell’urbanistica.
Per anni l’associazionismo ambientalista e le forze di sinistra di Pisa hanno denunciato questa deriva, indicando gli errori, le patologie urbane, e gli intrecci politica-affarismo che essa generava. Il Municipio dei Beni Comuni, per fare un nome tra i tanti, ha costruito una parte cospicua delle sue battaglie e delle sue iniziative politiche su queste tematiche, in una feconda collaborazione con numerose realtà non solo pisane ma anche toscane e nazionali.
Solo grazie a una serie di eventi accaduti nel corso degli ultimi mesi è stato tuttavia possibile ottenere uno spaccato limpido di questa realtà, al di là delle rassicuranti retoriche ufficiali distribuite a piene mani in questi ultimi anni.
Se è vero che ormai da anni veniva (vanamente) denunciato lo scandalo di otto milioni di euro mai riscossi dal Comune di Pisa per indennità di occupazione di suolo dalla Società Boccadarno Porto di Pisa, dopo la recente esplosione del caso di finanziamenti discrezionali accordati da diversi istituti di credito (locali come la Banca di Credito di Cascina ma anche nazionali) al costruttore Bulgarella e all’inopinato fallimento della Società Navicelli, “demandata” allo “sviluppo” di una vasta area a sud est della città, si è scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora dal quale saltano fuori a getto continuo novità sempre più clamorose.
Il blocco di potere politico-affaristico pisano non si è limitato infatti a dirigere lo “sviluppo” del territorio attraverso accordi extra-istituzionali ed estranei a qualsiasi logica di bene collettivo ma si è cementato e rafforzato vicendevolmente attraverso – almeno a quanto è dato di vedere finora – una serie di comportamenti truffaldini o ai limiti della legalità sul versante privato e quantomeno omissivi sul versante pubblico.
Le varie società, in genere costituite da più soggetti imprenditoriali, che hanno guidato i grandi affari edilizio-urbanistici concordati con le giunte Fontanelli e Filippeschi (Bulgarella, Sviluppo Navicelli, Boccadarno Porto di Pisa) hanno infatti omesso pagamenti (per acquisti e per imposte) che ammontano a una cifra finora accertata di circa 18 milioni di euro e hanno fornito sistematicamente fideiussioni prive di qualsiasi validità legale, sia perché emesse da soggetti non abilitati sia perché prive di alcuni documenti accessori necessari per legge. Ciò vuol dire che questi soggetti si sono consapevolmente sottratti a precisi obblighi di legge per loro assai onerosi, truffando l’amministrazione pubblica.
Dal canto suo l’amministrazione comunale di Pisa ha per anni omesso di riscuotere grandi quantità di oneri fiscali da questi soggetti e ha accettato essenziali e cospicue garanzie finanziarie senza mai verificare la loro validità, mentre altri comuni l’hanno fatto invece in modo regolare e puntuale. Quando questi elementi sono cominciati ad emergere grazie alla tenace opera di scavo della nostra lista di cittadinanza, l’amministrazione è venuta anche meno (e continua sovente a farlo) ai propri obblighi di legge per quanto riguarda la trasparenza, rifiutando sistematicamente di fornire la documentazione su questi e altri casi o dilazionandone per mesi la consegna.
Questi comportamenti truffaldini dei privati e i paralleli comportamenti omissivi del pubblico si possono logicamente spiegare solo nei termini di intreccio affari-politica di cui parlavamo più sopra.
E questo modello di governo dell’economia locale, del territorio e della cosa pubblica si compendia in modo esemplare nella figura di Stefano Bottai, al quale è quindi il caso di fare un cenno in chiusura.
Bottai viene da lontano. È stato anzitutto consigliere comunale e vicesindaco di Pisa di provenienza democristiana negli anni Novanta, coetaneo e sodale di Enrico Letta, del consigliere di Mattarella Simone Guerrini, dell’attuale assessore piddino al bilancio Andrea Serfogli e dell’attuale capogruppo di Forza Italia Giovanni Garzella. Durante quella esperienza fu uno strenuo sostenitore, al pari dei suoi giovani colleghi, del porto di Marina di Pisa, fortemente avversato dagli ambientalisti. Successivamente è stato responsabile o membro di una miriade di consigli di amministrazione di imprese, di organismi di categoria, di fondazioni bancarie, sempre mantenendo rapporti strettissimi col mondo della politica. Il suo ruolo di ponte tra affari e politica è tale che quando Regione e Comune di Pisa hanno “mollato” l’aeroporto di Pisa per creare Toscana Aereoporti e affidarla a privati capaci di garantire lo spostamento dell’asse del trasporto aereo toscano su Peretola, il primo candidato (di consolazione?) alla presidenza è stato proprio il pisano Bottai. Ma la legge del più forte è la legge del più forte e Pisa si è dovuta accontentare di piazzare il “suo” uomo come semplice consigliere di amministrazione della nuova società.
Bene, Stefano Bottai è anche uno dei grandi protagonisti delle vicende descritte più sopra in quanto è stato via via: presidente della Confcommercio di Pisa che proponeva l’area dei Navicelli per l’insediamento Ikea; poi presidente della stessa Società Sviluppo Navicelli, che ha ottenuto dal Comune i terreni che poi ha rivenduto a Ikea a un prezzo quadruplo, società che poi è fallita lasciando una scia di opere incompiute e soprattutto fideiussioni false; quindi presidente della Società Boccadarno Porto di Marina cui il Comune ha graziosamente concesso di non pagare gli otto milioni di oneri.
Un intreccio vertiginoso, che però aiuta a capire le “qualità” della “politica urbanistica” di un “medio” comune toscano amministrato dagli eredi della vecchia, buona sinistra.
Luigi Piccioni, “una città in comune” – Pisa