Riforma meloni: una pietra tombale sulla democrazia parlamentare italiana

Scoprendo lentamente, una ad una, le sue carte, Fratelli d’Italia mostra finalmente il suo autentico e antico volto di partito nostalgico del Regime fascista. Di partito che dalle ceneri di quel regime è nato nel 1946, che quel regime ha costantemente guardato come il migliore della storia d’Italia, che a quel regime ambisce con tutta evidenza a riportare il nostro Paese.

L’ultima carta – come sempre sgangherata ma come sempre pericolosissima – è una riforma istituzionale che punta a quattro obiettivi:

– l’elezione diretta del presidente del consiglio da parte dell’elettorato;
– un meccanismo elettorale che darebbe alle liste collegate al presidente eletto, qualunque percentuale abbiano ottenuto, il 55% dei seggi parlamentari;
– l’estromissione del Presidente della Repubblica da qualsiasi possibilità di gestire le crisi di governo;
– l’estromissione del Parlamento da qualsiasi possibilità di decidere un cambio di maggioranza.

Al riguardo Gaetano Azzariti parla di “un premierato assoluto che – pur passando per una finta fiducia iniziale – ci allontanerebbe sia dalle forme di governo parlamentare, dove sono le camere a dare la fiducia reale al governo, sia da quelle presidenziali, dove gli equilibri sono garantiti da una netta separazione dei poteri. Asservire il parlamento al governo tramite una forzata omogeneità di maggioranza politica vuol dire concentrare il potere sovrano nelle mani di un eletto del popolo. L’anticamera dell’autocrazia”.
Si tratta insomma di un progetto che non ha uguali in nessun paese democratico in quanto prevede la rottura di tutti i meccanismi di bilanciamento dei poteri e di garanzia della rappresentanza democratica.

In sé tuttavia il tentativo – che può essere fatto risalire a Licio Gelli ma il cui terreno è stato approntato da un trentennio di riforme istituzionali finalizzate a comprimere la rappresentanza – è in linea con quanto stanno tentando di fare da anni politici antidemocratici di tutto il mondo come Viktor Orban, come Donald Trump, come Jair Bolsonaro, come Recep Erdogan.

Ad aggiungere danno al danno è evidente sin da ora che se la riforma Meloni andasse in porto realizzerebbe di un mostro istituzionale autoritario che finirebbe col cozzare violentemente con l’autonomia differenziata, cioè con il progetto di fine dell’unità nazionale tenacemente perseguito da anni dalla Lega con la complicità di alcune regioni governate dal Pd. Il rischio, più che concreto, è quello di ritrovarsi nel giro di pochi anni con un monarca semi-assoluto che prova a governare una nazione che non esiste più in quanto tale, con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe.

Una città in comune si schiera subito e in modo netto perché questa manovra venga respinta, in Parlamento, nelle piazze, e se sarà necessario nelle cabine referendarie come già avvenuto coi referendum del 2006 e del 2016. Riteniamo indispensabile che anche i consigli comunali prendano subito una posizione contraria e porteremo quindi una mozione anche nella nostra assemblea cittadina.

Oggi è infatti in gioco il diritto delle italiane e degli italiani di avere una rappresentanza democratica effettiva ed efficace, diritto garantito nel 1948 dalla Costituzione dopo il buio del fascismo, cui Fratelli d’Italia e i suoi alleati di governo ambiscono – passo dopo passo – a farci tornare.

Condividi questo articolo

Lascia un commento