Buoni spesa: per l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali la residenza è un criterio discriminatorio. Il Comune e la S.d.S. accolgano le richieste respinte e modifichino la delibera

La richiesta della residenza da parte del Comune come requisito per l’accesso ai buoni spesa è un criterio discriminatorio. A confermare quanto denunciamo da settimane è l’Unar in un documento redatto per la Presidenza del Consiglio dei Ministri qualche giorno fa: “Linee guida in materia di interventi di solidarietà alimentare in esecuzione all’ordinanza n.658 del 29.03.2020 della Protezione Civile”.

Nel documento dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali si afferma in maniera inequivocabile: “Il criterio della residenza, se inteso dal punto di vista strettamente anagrafico, potrebbe discriminare indistintamente sia cittadini italiani che stranieri privi di fissa dimora, sia i richiedenti asilo non iscritti all’ anagrafe della maggioranza dei Comuni“.
E ancora: “In sostanza potrebbe configurarsi non solo discriminatorio ma altresì, in controtendenza con i principi stessi dell’Ordinanza 658 della Protezione Civile, andando ad escludere da un beneficio proprio quei soggetti che in questo momento più si trovano nella condizione di bisogno“.

Da qui l’Unar chiede che i Comuni rispettino questo criterio nella redazione degli avvisi per la concessione dei buoni spesa: “estensione del buono pasto e di generi di primi necessità anche agli stranieri privi di un titolo di soggiorno e a coloro che non sono iscritti alla anagrafe, purché domiciliati di fatto nel comune, anche temporaneamente in quanto costretti sul territorio a causa del blocco della mobilità imposto dalla emergenza Coronavirus“. E’ una semplice regola di buon senso: chi si trova sul territorio del nostro comune deve ricevere aiuto qua, dove si trova, non potendo tornare nel proprio comune di residenza.

Sono tante le voce che si alzano contro questo criterio discriminatorio. La stessa Caritas di Pisa in un report sulla gestione dei buoni alimentari dei comuni della Diocesi di Pisa denuncia il fatto che è “il criterio della residenza, quello che rischia di essere il più escludente nei confronti di molti soggetti: è il caso di migranti e senza dimora o persone che vivono una situazione di grave marginalità, ma anche degli studenti universitari. Sette comuni, infatti, escludono in modo tassativo l’accesso ai non residenti, a prescindere dalla condizione di bisogno, e ben 13 non esprimono un orientamento al riguardo. Così le municipalità che includono espressamente i non residenti fra gli aventi diritto, purché in condizione di effettivo bisogno dovuto all’emergenza da Covid-19, sono appena 7. La formula più frequentemente adottata da queste amministrazioni è di permettere di ricevere i buoni anche a “tutti quei soggetti, compresi quelli temporaneamente domiciliati nel Comune, che non riescono, in questa fase di emergenza Covid-19, ad acquistare beni di prima necessità alimentare”.
Da qui la stessa Caritas chiede di escludere il requisito della residenza per l’accesso ai buoni spesa.

Chiediamo quindi al Sindaco di riprendere immediatamente in esame le domande che sono state respinte per la mancanza del requisito della residenza e dare urgentemente l’aiuto alimentare, se la richiesta rientra all’interno degli altri parametri e, contemporaneamente, di modificare subito la delibera che ne regola la concessione. Lo stesso deve avvenire per quanto riguarda i nuovi buoni spesa che la Società della Salute si appresta ad erogare e in cui la residenza è espressamente prevista come criterio.

Progetto Rebeldìa
Osservatorio sulle discriminazioni D-Scream
Ass. Africa Insieme
Ass. Articolo 34
Scuola Mondo San Giuliano
Unione Inquilini Pisa
Una città in comune
Rifondazione Comunista
Pisa Possibile

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