Una situazione drammatica e oramai tristemente cronica. Questo è il quadro che venerdì 20 ottobre ha fatto il Garante dei diritti dei detenuti sulle condizioni del carcere di Pisa, nel corso dell’audizione in Seconda Commissione Consiliare richiesta dal gruppo consiliare Diritti in Comune: Una città in comune – Unione Popolare.
E’ cronico il sovraffollamento, che vede oggi presenti 260 persone detenute in un istituto che potrebbe contenere 198 persone: lo spazio vitale a persona è inferiore a 3 metri quadri.
E’ cronico, anzi sempre più drammatico il quadro delle carenze strutturali: nelle celle del piano terra le persone dormono inserendo bottiglie nei bagni alla turca per evitare che risalgano i topi durante la notte.
La sezione semiliberi, che dovrebbe essere una struttura a custodia attenuata e collocata fuori dalle mura carcerarie è priva dei servizi primari e in uno stato di totale abbandono.
In carcere si vive male, e ci si ammala. Secondo i dato di Antigone relativi alla rilevazione del 2022 il 23 % delle persone detenute ha problemi di salute mentale.
E, in modo paradossale proprio i servizi relativi alla principale emergenza sanitaria dell’istituto sono quelli più carenti. Il Garante lo ha detto a chiare lettere, ed ha parlato di un sistema di tutela della salute mentale assolutamente non idoneo.
Così come è carente la presa in carico delle persone che hanno problemi di dipendenza, che richiederebbe una più assidua presenza degli operatori del SerD all’interno dell’istituto. Eppure, dice il Garante, in carcere girano un sacco di sostanze.
A questo si aggiunge che anche i percorsi trattamentali, ovvero quelli che dovrebbero offrire per legge alle persone detenute strumenti e possibilità di cambiamento e partecipazione sociale, sono cronicamente carenti, disattendendo così l’articolo 27 della nostra Costituzione.
Emblematica la situazione del personale dell’Area pedagogica, che vede 3 funzionarie in servizio sulle 5 previste.
Mancano, eccetto le opportunità offerte dalla frequenza dell’Istituto alberghiero, le possibilità di accesso alla formazione professionale e pure le opportunità di inserimento al lavoro nel tessuto produttivo locale del territorio.
Il garante infine ha sottolineato un dato preoccupante: la maggior parte delle persone detenute ha tra 20 e 30 anni, questo deve allarmarci.
Ed è cronica e grottesca la presa in giro sulla struttura di accoglienza che il Comune dovrebbe approntare per dare ricovero alle famiglie in attesa dei colloqui, che da sempre fanno la fila in strada. L’abbiamo chiesta dieci anni fa, e stiamo ancora aspettando.
Il carcere è in sostanza un luogo da cui scappare, appena possibile. Qui sta il problema: nella casa circondariale sono tante le persone che hanno i requisiti per accedere all’esecuzione penale esterna ma non ci sono le condizioni per le prospettive di un reale inserimento.
Contro i detenuti e in genere contro le persone vulnerabili i continui tagli ai servizi e ai diritti si ritorcono in modo drammatico, e privano le persone delle opportunità per scegliere percorsi di vita di piena cittadinanza e di legalità. In questo, il Comune di Pisa continua a distinguersi per l’assoluto disinteresse della situazione carceraria.
Per abbattere la recidiva bisogna costruire cittadinanza e l’unico modo per arrivarci sono i servizi per l’inserimento sociale e per l’accesso al lavoro e alla casa. Ma l’amministrazione comunale ha deciso di non considerare i detenuti del Don Bosco come abitanti su suolo pisano, dimenticandosi che, una volta finita la pena, la maggioranza di chi esce dal Don Bosco rimane sul territorio, senza alcuna possibilità di un positivo inserimento in società.
Noi denunciamo la latitanza del Comune da dieci anni: nel 2014 abbiamo presentato in Consiglio Comunale un Ordine del Giorno con ragionevoli proposte di intervento di competenza dell’Ente Locale. L’atto è stato approvato e l’allora giunta Filippeschi non ha fatto nulla; nel 2017 l’ha nuovamente approvato e ha continuato a fare nulla. Una tradizione che tristemente continua con l’attuale giunta di destra.