Gli ultimi eventi accaduti in questi giorni ci forniscono il quadro della drammaticità della situazione in carcere a Pisa. Il caso di Diego, la cui “morte annunciata” è avvenuta nell’infermeria, luogo nel quale avrebbe dovuto curarsi, la dice lunga sulla condizione dell’istituto Don Bosco.
Il giorno dopo nel reparto giudiziario è scoppiata la rivolta. Chi frequenta il carcere abitualmente ed anche chi l’ha visitato in occasioni sporadiche sa che il reparto giudiziario è il luogo nel quale si concentrano conflitti, disagi sociali e sofferenze. E’ lì che si trovano le persone in custodia cautelare e quindi non ancora condannate: il 70 % dei detenuti lì è composto da stranieri, a loro volta di diverse provenienze, contro il 30 % nel caso dei detenuti giudicati colpevoli in maniera definitiva. Si tratta quindi di una sezione altamente complessa, nella quale dunque i diritti individuali, relativi all’integrità della persona, dovrebbero essere più che mai sacri.
Invece, ad esempio, continua a vigere il sistema del “sopravvitto” che permette alle ditte esterne di fornire merci ai detenuti a costi insostenibili, cosa spesso denunciata dallo stesso Garante per i diritti dei detenuti. Quello che sta accadendo in questi giorni è evidentemente il precipitato di responsabilità che, oltre al livello regionale, investono la direzione locale dell’istituto: le rivendicazioni dei sindacati della polizia penitenziaria che invocano assunzioni di personale del corpo non mettono in evidenza le carenze complessive dell’istituto e la necessità di cambiamenti urgenti nella sua organizzazione.
Oltre al carcere però, quello che avviene riguarda anche le istituzioni e i servizi locali: abbiamo denunciato da tempo le carenze di personale, di risorse e di strumenti dei servizi del territorio e la latitanza dell’amministrazione comunale. E’ ora di finirla e di assumerci collettivamente la responsabilità di quanto avviene negli istituti di detenzione: ogni “ morte annunciata”, ogni rivolta, rappresentano un fallimento collettivo, non solo del carcere.
Abbiamo richiamato costantemente alle loro responsabilità le istituzioni locali: nelle audizioni da noi richieste nella commissione consiliare competente il Garante e il mondo del volontariato che opera nel carcere hanno sempre denunciato la drammaticità della condizione presente, caratterizzata da un costante sovraffollamento, dalla presenza di un’alta percentuale di detenuti che potrebbero scontare la pena fuori dal carcere e dall’assenza di una rete territoriale destinata all’inclusione dei detenuti.
Sul piano nazionale, l’associazione Antigone ha denunciato pochi giorni fa come agosto sia stato un mese tragico nei penitenziari: 15 persone si sono suicidate, una ogni due giorni. Dall’inizio del 2022 sono ben 59: strage dimenticata. Numeri così non si erano mai registrati.
E’ la cartina di tornasole rispetto all’efficacia delle riforme promesse, molte delle quali sono ancora solo annunciate ed altre non supportate da reali investimenti di risorse e personale. Il carcere continua ad essere un luogo di afflizione e punizione, un luogo che produce e sedimenta criminalità, un luogo che ospita “morti annunciate”.
Alla luce di questa situazione abbiamo richiesto una audizione urgente del Garante dei Diritti dei detenuti in Commissione e grazie alle parlamentari di “Manifesta” programmeremo a breve un sopralluogo all’interno del carcere.
Una città in comune
Rifondazione Comunista