Sono stata in un Consiglio Territoriale di Partecipazione come rappresentante di SEL durante lo scorso mandato di Marco Filippeschi. Anni fa ero stata consigliera di Circoscrizione, prima che la legge cancellasse queste sedi di rappresentanza nelle città al di sotto dei 100.000 abitanti.
Trovo importante e interessante il dibattito che si è aperto dopo la scelta fatta dalla coalizione Una città in Comune – Rifondazione Comunista, di non entrare con propri rappresentanti nei CTP: una discussione che mi auguro sia sulla sostanza delle cose, su cosa si intenda per partecipazione e su come vada costruita.
Con la mia prima esperienza avevo sviluppato dei forti dubbi sulla capacità delle Circoscrizioni di coinvolgere i residenti nei quartieri in maniera efficace e corretta. All’epoca, i Consigli di Circoscrizione erano elettivi e potevano fare alcune scelte vincolanti per l’Amministrazione comunale.
Ma avevano, penso, dei vizi di fondo: a partire dalla riproduzione di dinamiche partitiche che li ingessavano in logiche di alleanze, minoranze e maggioranze, rendendo difficile qualunque discussione. Addirittura sulle buche nell’asfalto, tema che poteva magari essere usato da qualche partito per farsi propaganda spicciola, ma non per ragionare veramente di come gestire la manutenzione delle strade. Non parliamo poi di argomenti più strategici: ad esempio sulla qualità della vita nei quartieri.
La mia impressione durante lo scorso mandato è stata che la scelta di istituire i CTP – che anche io avevo sperato potesse servire ai quartieri – abbia portato con sé quel vizio di fondo, aggravato dall’impossibilità per i Consigli di esprimere scelte vincolanti. Di conseguenza, mi sono fatta l’idea che i CTP non siano lo strumento corretto per favorire la partecipazione e che invece occorra pensare a strumenti completamente diversi.
C’è bisogno di metodi e strutture più snelle e più efficaci: e mi pare che anche la Giunta se ne renda in parte conto perché le proposte che l’assessore Danti illustra nella sua dichiarazione del 7 ottobre fanno intravvedere come lo strumento dei CTP abbia mostrato dei limiti seri. Allora mi chiedo: perché forzarsi a ripetere le stesse scelte? E perché non essere più coraggiosi, aprendosi anche alle proposte di chi sta all’opposizione?
Il fatto che il Comune abbia diversi spazi disponibili sparsi sul proprio territorio permette di dare una sede fisica per l’incontro tra i residenti nei quartieri, incontro che deve potersi svolgere nelle forme più ampie e – secondo me – svincolate da logiche di ceto politico.
Trovo estremamente interessanti le proposte contenute nel comunicato di Una città in Comune – RC su Bilancio partecipativo, Istruttoria Pubblica per gli atti di programmazione e gli strumenti di pianificazione territoriale, laboratori di progettazione partecipata, accordi di quartiere con il coinvolgimento delle scuole e dei giovani, elaborazione di mappe dei valori e dei conflitti e creazione di comunità virtuali.
Ho potuto partecipare solo alla prima giornata organizzata dall’Assessore Danti sulla partecipazione ma nell’occasione ho visto – tra i partecipanti – anche rappresentanti di Una città in Comune – Rifondazione Comunista. Amici presenti mi hanno detto di averne visti anche alla 2° giornata. Mi sembra che questo indichi attenzione verso il percorso proposto dall’Amministrazione, anche se non necessariamente condivisione.
Mi auguro che su questo tema il confronto politico si sviluppi sulle questioni concrete e non diventi l’occasione per polemiche sterili; tra l’altro la legge regionale ammette diverse forme di partecipazione. A Pisa ce ne deve essere una sola?
Tiziana Nadalutti