Vulnerabilità dei territori: un’occasione di riflessione per cambiare paradigmi?
Il caso della Darsena Europa, nuovo porto di Livorno
di Tiziana Nadalutti ( articolo pubblicato sulla rivista mensile NAUTILUS )
Il porto di Livorno è in crisi da molto tempo. Questo naturalmente ha un impatto sul sistema socioeconomico che diventa più vulnerabile ogni volta che chiude un’azienda della logistica, perché non si trovano davvero nuove soluzioni occupazionali. Per superare questa situazione viene proposta la Darsena Europa: un’opera immensa che si dovrebbe protendere in mare per circa 2 kilometri, finalizzata a permettere l’attracco di gigantesche navi capaci di trasportare fino a 16.000 container e con un pescaggio che raggiunge i 15-16 metri. Così, si dice, il porto diventerà fortemente competitivo e, dato che si inserisce in uno dei corridoi infrastrutturali fondamentali dell’Unione Europea, avrà un futuro sicuro. Vulnerabilità superata.
Ma è davvero così?
Ci si trova innanzitutto in una corsa contro il tempo, perché tutto si incardina sulla competitività: altri porti che insistono sugli stessi bacini di traffico sono almeno La Spezia, Ancona, Ravenna, Mestre. Senza contare Genova, che può inserirsi facilmente sulla stessa rete. Quindi, dato che non esiste una vera pianificazione nazionale per le infrastrutture portuali e dato che non sono tanti i porti necessari per il tipo di traffico che Livorno vuole attrarre, arrivare primi è importante.
Così negli anni intorno al 2013 si costruisce il Piano Regolatore Portuale, nel cui studio per la Valutazione Ambientale Strategica, procedura obbligatoria mirata a soppesare gli effetti ambientali delle scelte di pianificatorie, si dice che non ha senso valutare l’ipotesi di non fare quest’opera perché se non la si fa il porto muore.
Parte poi la progettazione. Ad oggi si prevede che saranno utilizzati 450 milioni di risorse pubbliche per gettare solo le basi della Darsena: opere foranee, dragaggi per scavare il fondale fino a poter garantire il pescaggio richiesto, vasche di colmata. Tutte opere basilari ma non sufficienti a completare l’infrastruttura. Per farlo servono investimenti privati sulle ulteriori opere necessarie, per le quali si parla di una spesa simile o superiore, arrivando in totale a circa un miliardo di euro (queste sono le quantificazioni dichiarate sui giornali a gennaio 2023).
Per il momento gli investitori privati però non ci sono e le stime sui costi sono soggette a variazioni anche importanti, dal momento che in questa fase si assiste ad un forte incremento dei prezzi. Occorre anche tenere presente che da dieci anni a questa parte la stazza delle navi portacontainer è cresciuta: la più grande oggi esistente è in grado di trasportarne 24.000. Naturalmente questo significa che è aumentato anche il pescaggio.
In questo quadro di grande evoluzione e di incertezza si sta svolgendo la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale che riguarda il progetto delle opere di parte pubblica. Lo Studio di Impatto afferma, nelle sue centinaia di pagine, che ogni intervento previsto dal progetto non crea grossi problemi, al limite li risolve. Dice anche che non ha senso studiare la possibilità di non fare la Darsena Europa, perché così già era scritto nel Piano Regolatore Portuale. Inoltre, visto che le navi sono diventate più grandi, profila la necessità di escavare i fondali più di quanto era previsto, tanto da spiegare che sarà necessaria una variante al Piano Regolatore Portuale. Piano che vale o meno, evidentemente, a seconda di quello che si vuole far passare.
Tornando agli impatti, sono moltissimi i dubbi che si sollevano sullo studio, a partire dalla necessità di una serie di approfondimenti che riguardano sia l’ampiezza dell’area di indagine utilizzata per le valutazioni, sia la tutela di specie di fondamentale importanza come ad esempio la Posidonia oceanica – la classica “alga” del Mediterraneo che tutti vediamo sulle spiagge, centrale per il sostentamento di tanti ecosistemi marini – e i cetacei. Anche l’erosione generata dalla Darsena sul litorale pisano ha una sua rilevanza: per risolvere il problema si è pensato ad una draga che aspirerebbe le sabbie del canale che sbocca in mare immediatamente a nord del porto per pomparle, attraverso un sabbiodotto, sulle spiagge pisane. Non è detto che queste sabbie sarebbero però adatte e anche quest’opera – tutto sommato piccola – potrebbe avere un suo impatto ambientale, ma nello studio non se ne parla. E’ noto solo che dovrebbe ripascere le spiagge con circa 20mila metri cubi di sabbia all’anno, per un costo di almeno 10 € per ogni metro cubo di sabbia pompata (e chi dovrebbe sostenere la spesa?)
E’ davvero questo il modo di affrontare e superare la vulnerabilità socioeconomica di Livorno? O non è piuttosto un modo di generare nuove e più pesanti vulnerabilità, sia sul piano ambientale, sia sullo stesso piano socioeconomico?
In realtà, nonostante un bel video dell’Autorità portuale parli di attracco al futuro, sarebbe forse meglio parlare di attacco, a quel futuro. Infatti ci troviamo davanti ad un’operazione fondata su un modello di sviluppo fallimentare che oggi non dà garanzie di successo e che distoglie risorse pubbliche da necessità molto concrete, come la qualità della vita e il diritto alla salute della cittadinanza di Livorno, sulle quali ci sarebbe bisogno di grandi investimenti. Le attività portuali già in essere e l’area della raffineria Eni contigua potrebbero infatti avere effetti negativi ancora non misurati. Non sarebbe l’ora di uscire da questi scenari e pensare un’economia diversa? Non potrebbero le risorse pubbliche essere impiegate per costruire quest’altra economia, un nuovo sistema fondato sulla tutela delle risorse dei territori e su una loro sinergia?
La tutela del litorale, un diverso sviluppo della costa che prescinda da grandi opere come la Darsena Europa, la valorizzazione e l’ampliamento del Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli sono oggi i cardini per superare davvero ogni vulnerabilità.