In tempo di crisi serve più giustizia fiscale. Inaccettabile incitare a non pagare le tasse

“L’atto costitutivo della convivenza civile in Italia è la Costituzione della Repubblica, che sancisce la libertà sindacale e di sciopero”, dichiara Franco Marinoni, direttore di Confcommercio Toscana, per giustificare la chiamata allo “sciopero fiscale”, di berlusconiana memoria. Peccato che la stessa Costituzione, a cui il direttore si appella, dica anche all’art. 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Quindi, delle due l’una: o siamo di fronte a una persona che non conosce la Costituzione, e con lui il sindaco Conti che sostiene la sua proposta, oppure si tratta di un goffo tentativo di mistificare il dettato costituzionale.

Invocare lo sciopero fiscale, soprattutto in un momento di crisi come quello in corso, è un atto di irresponsabilità e di ingiustizia inaccettabile. Per far fronte alla crisi e correggere le già gravi diseguaglianze esistenti serve invece giustizia fiscale. Sono anni che Oxfam denuncia l’allargamento progressivo della forbice tra ricchi e poveri. Alla fine del primo semestre del 2019, quindi prima che si diffondesse la pandemia, il patrimonio del 5% più ricco degli italiani, titolare del 41% della ricchezza nazionale netta, era superiore a tutta la ricchezza detenuta dall’80% più povero. E ancora, salendo nella piramide: il patrimonio dell’1% più ricco, detentore del 22% della ricchezza nazionale, valeva 17 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana.

Una concentrazione di ricchezza inaccettabile, un livello di disuguaglianza insopportabile, che la crisi causata dalla pandemia sta ulteriormente accentuando. E allora, è evidente che le tasse vanno pagate in funzione di quello che si ha: chi ha tanto deve, semmai, pagarle molto più di quanto non ha fatto finora. Lo “sciopero fiscale” è una proposta demagogica, a tratti eversiva, come l’ha definita giustamente il segretario della Camera del Lavoro di Pisa, finalizzata a strizzare l’occhio alle lobby amiche e a cavalcare il malessere sociale. Solo una maggiore progressività fiscale e l’introduzione (finalmente!) di una tassa sui grandi patrimoni possono consentire di redistribuire la ricchezza e dare un reale sostegno a chi è colpito dall’emergenza sociale ed economica dovuta alla pandemia.

Il dovere di contribuire alla spesa statale è, secondo la nostra Costituzione, l’espressione di un generale dovere di solidarietà (art. 2) e di un obbligo a perseguire l’eguaglianza sostanziale (art. 3), creando un sistema pubblico che preveda servizi di qualità per tutte e tutti, a partire dai meno abbienti. Tuttavia, su questo versante, l’amministrazione Conti è stata totalmente assente. Non ha previsto né investimenti per un serio piano antievasione, né provvedimenti fiscali (a partire dalle agevolazioni sulla Tari) per supportare le fasce della popolazione più colpite dall’emergenza in corso.

Contro l’incitamento a non pagare le tasse noi rilanciamo l’idea di fare di Pisa un laboratorio di giustizia fiscale. Vogliamo riformulare in senso progressivo di tutte le imposte locali: addizionale IRPEF, Imu-Tari, imposta di soggiorno. Vogliamo introdurre una tassa di scopo sui grandissimi proprietari (e/o sulle proprietà di determinate categorie di soggetti, es. istituti finanziari) che finanzi l’edilizia sociale, il recupero del patrimonio pubblico sottoutilizzato, l’economia sociale. Vogliamo un nuovo regolamento IMU, che tenda a premiare l’economia sociale e locale, l’occupazione, la cultura e l’inclusione sociale attraverso varie forme di agevolazione fiscale. Infine, vogliamo provvedimenti ad hoc che rendano più facili i controlli da parte della SEPI, per contrastare evasione ed elusione fiscale.

Diritti in comune: Una città in comune – Rifondazione comunista – Pisa Possibile

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