La rivoluzione di Siena: noi stufi del buonismo

martedì
26 giugno 2018
Testata:
MESSAGGERO
Pagina:
3

All’ombra di Montepaschi qui i democrat si credevano eterni. Invece la città dell’antifascismo se ne infischia e vira a destra

IL REPORTAGE

dal nostro inviato SIENA Meritocrazia, zero. Clientele di partito, tante. C’è stata dunque una rivolta, contro questo sistema, a Siena. Cortei di motorini, sbandieramenti in Piazza del Campo. Ebrezza da crollo del Muro. Purtroppo, non c’è Rostropovich. Sulla vetrina della sede della Cgil, lungo via Montanini, pieno centro della roccaforte rossa diventata verde leghista, è subito comparso un cartello. Si legge: «Mai più fascismi». Lo guardano i senesi a passeggio all’indomani delle elezioni, e fanno spallucce: «Che bel botto, lo aspettavamo da 74 anni!». Il botto della caduta choccante della sinistra, che qui pensava di comandare in eterno. Siena è la città a cui si ispira il grande storico Niall Ferguson nel suo libro ormai classico: “La piazza e la torre”. La torre è la Torre del Mangia, che simboleggia i centri di potere, l’élite. La piazza è Piazza del Campo, cioè il luogo orizzontale delle reti dei cittadini. L’equilibrio tra questi due elementi è saltato e il Pd è rimasto prigioniero nella torre e schiacciato dal suo crollo. Susanna Ceccardi, super-salvinista, la donna che in nome di Salvini forse diventerà presidente regionale della Toscana nel 2020, assicura: «A Siena, e non soltanto qui, c’è stata la rivoluzione del popolo contro l’establishment».

CORTESIE & COLTELLI

La senesità, questo impasto di Monte dei Paschi, compattezza sociale, fortissimo attaccamento al territorio, amore per la propria diversità tra strapaese e strapotere, si fondava sul partito-sistema. E vigeva un ordine assai stabile, fra socialcomunisti e Dc uniti in una specie di armistizio che s’interrompeva soltanto quando bisognava nominare la delegazione comunale al Monte dei Paschi. Allora si metteva mano ai coltelli, ma una volta scelta la delegazione Mps, tutto riprendeva come prima con reciproche cortesie e reciproche menzogne. Ecco, nella città che vira a destra, perché il vento del Paese questo è, perché ci sono gli immigrati che spaventano tutti, anche se la percezione surclassa la realtà, perché gli anni bui della banca padrona hanno mandato tutto in tilt, perché la sinistra si è fatta solo palazzo, si è rotto quel rapporto tra il partito, la massoneria, la banca e la fondazione Mps, che il gran maestro Stefano Bisi, senese, definisce con un ossimoro: il «groviglio armonioso». L’armonia perduta ora andrà ritrovata con altri soggetti. E con altri valori.

Qui la gente se ne infischia dell’anti-fascismo. Non sopporta più il buonismo. Guardando il successone di Siena – in realtà il neo-sindaco De Mossi ha vinto per meno di 400 voti sul Pd balcanizzato – il leghista Borghi, economista e sottosegretario, sconfitto da Padoan nella sfida all’uninominale il 4 marzo, gongola: «In questa città abbiamo fatto un miracolo». Un po’ di grillini e un po’ di dem hanno dato una mano nelle urne. Sia qui sia nel resto della Toscana, e già la Chiesa sembra essersi messa all’opposizione del vento salvinista che ha cancellato ogni traccia politica di rosso. «Non si mettono i poveri contro i poveri, soltanto per interessi di propaganda partitica», tuona il cardinal Betori, arcivescovo di Firenze, dove si vota il prossimo anno e il dem Nardella rischia di finire schiacciato nella morsa di renzianissimi e diversamente renziani che si detestano. A dispetto dei danni che già hanno combinato. Renzi mangia popcorn, e la sua parte politica è alla disfatta. Spiega il moderato neo-sindaco De Mossi e non parla per scherzo: «In fondo, Siena è una città leghista. Sente forte l’identità e ha il culto del particulare».

GLI INTRECCI

Messa così, difficile dare torto a questo avvocato amico di Salvini ma anche di Berlusconi e che si è sempre schierato contro gli intrecci assai local tra finanza e politica ed è stato votato anche da chi – goodbye Lenin – ancora si dichiara comunista ma non ne può più del continuismo senza progetto. Spiega Marcello Flores, storico, famoso docente a Siena: «I partiti hanno perso la loro dimensione di massa e il Pd, che ha governato così a lungo, si divide in correnti e sottocorrenti, perdendo non solo questa ma tante altre città che avevano rappresentato la storia della sinistra italiana». Qui a Siena, ma anche da altre parti, ha fatto flop il nuovo Cnl, il fronte popolare delle sinistre unite in chiave anti-fascista cioè anti-salvinista. E questo non è un buon segnale per l’opposizione (esiste?) a livello nazionale. «Il problema – lamenta Pierluigi Piccini, persona colta che è stato sindaco di sinistra, stava in Mps come tutti ed è arrivato terzo con la sua lista in queste lezioni – è che tutto si è giocato sul piano politico, e il vento generale che soffia in Italia ha colpito anche Siena». I renziani se ne lavano le mani, alludendo alla estrema specificità del luogo: «Son senesi…». Loro, da senesi, hanno già preparato tutto – i palchi, le transenne, la terra a Piazza del Campo – per il palio del 2 luglio, che forse servirà a Salvini per venire qui a festeggiare il successone. Intanto tutti ripetono, senza una briciola di amarezza: «La sinistra ha fatto la fine del cavallo che cade alla prima curva». E tutti scommettono che non si rialzerà molto presto.

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