Liceo Buonarroti: tra conservazione e demolizione totale

TIRRENO PISA Pagina:I

Tra conservazione e demolizione totale

Dibattito aperto da anni sulla destinazione dell’edificio, Ancora nessuna soluzione all’orizzonte

Sui libri d’architettura il coniplesso Marchesi è indicato come «il massimo esempio italiano di architettura sociale, cioè pensata per coniugare il rapporto comunicativo tra professori e studenti con la funzionalità stessa».
Uno a zero per chi vuole tutelarlo. I conti fatti nel 2009 (la data non è casuale) dicevano che un nuovo edificio sarebbe costato 15 milioni di euro, cioè meno delle spese che avrebbe sostenuto la Provincia per i costi di gestione del Marchesi e per la sua messa a norma, valutabili intorno ai 17 milioni; e aggiungevano un malizioso «l’edificio non è soggetto a nessun vincolo conservativo». Uno pari. Come se ne esce? Ricordiamo che il complesso ospita un liceo scientifico, un tecnico per geometri, due biblioteche, una mensa universitaria, una piscina, una palestra enorme e diversi campi sportivi all’aperto. La costruzione della struttura fu affidata nel 1971 all’architetto Luigi Pellegrin, vincitore di un concorso internazionale. Che ne fece un gioiello: open space all’americana, dove non ci sono porte né muri, ma tutto è a misura d’uomo per favorire la socialità e la crescita. Anche troppo: le prime siringhe notturne (la scuola non aveva cancelli) portarono alla recinzione. Le numerosi classi portarono pareti in cartongesso per ridurre la dimensione delle aule, moltiplicandole. Così le lezioni erano in stereo, perché quelle pareti lasciavano passare tutti i suoni. E non dimentichiamo il grande peccato originale: per abbattere i costi e i tempi di realizzazione furono adoperati materiali prefabbricati di tipo
autostradale; ma i viadotti devono far filtrare l’acqua e questa scelta provocò piogge al chiuso del Marchesi, mai state completamente risolte.
Pellegrin aveva immaginato che la sua creatura arrivasse fino al 2009 e poi fosse smantellata. Ma nel novembre di cinque anni fa l’Ordine degli architetti di Roma e di Pisa, e la Fondazione Bruno Zevi cominciarono la battaglia per salvare la “Grande Scale”, nome affettuoso attribuito all’edificio per via della sua forma obliqua. A un certo punto sembrava che prevalesse la scelta di spostare nel parco urbano della Provincia tutte le attività; ma la trasformazione dell’ente amministrativo e la carenza di fondi fecero naufragare il progetto.
Poi si raggiunse una specie di compromesso: salva la parte sportiva e giù quella scolastica; in verità scontentava un po’ tutti. Anche questa fu accantonata nel tempo. Il dibattito negli anni si è spento, perla gioia dei “conservatoristi”. Ma l’imminente trasferimento della biblioteca provinciale segnerà un nuovo punto a favore dei “demolizionisti”: infatti, privare il complesso di tutte le attività porneridiane significa svuotarlo; e a quel punto è facile decretarne l’inutilità. C’è da scommetterci che se ne riparlerà molto presto. (g.c.)

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