NO CPR: nè a Coltano nè altrove

Si torna a parlare in questi giorni dell’apertura anche in Toscana dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), cioè delle strutture pensate per trattenere gli immigrati irregolari in attesa di espulsione: tra le ipotesi avanzate torna nuovamente quella dell’ex area di Coltano, la stessa dove si vuole realizzare parte della nuova base militare.

L’apertura di un CPR rientra nello “stato di emergenza” che il Governo italiano ha proclamato in queste ore per fronteggiare una “invasione” di migranti che in realtà non c’è e non c’è mai stata: quello a cui stiamo assistendo è un incremento del tutto fisiologico e prevedibile degli arrivi via mare, che andrebbe gestito con gli strumenti ordinari dell’accoglienza e della redistribuzione sul territorio. Invece di governare un fenomeno ormai strutturale e consolidato, il governo fa la voce grossa, inventa allarmi che non ci sono, e intanto stanzia fondi che potranno essere spesi in deroga alle procedure ordinarie di appalto (perché questo significa “stato di emergenza”).

Nella retorica del governo, i CPR dovrebbero servire a “risolvere” la presunta “invasione” accelerando le procedure di rimpatrio. Ma le cose non stanno così.

Bisogna anzitutto ricordare che nei CPR si violano sistematicamente i diritti umani più elementari delle persone trattenute. Non siamo noi a dirlo: lo attestano voci autorevoli e super partes, tra cui quella della «Autorità Garante delle persone private della libertà personale», organo di controllo istituito dal Decreto-legge n. 146 del 2013. Nel suo Rapporto del 2021, il Garante ha denunciato fatti gravissimi: detenzione di minorenni (che per legge non potrebbero finire nei CPR), bagni senza porte e totale assenza di privacy, docce o servizi igienici non funzionanti e maleodoranti, ozio totale per assenza di attività, assistenza sanitaria inadeguata o addirittura inesistente, casi (purtroppo molto frequenti) di suicidi e atti di autolesionismo. Questo quadro drammatico è stato confermato anche da un’indagine condotta dall’Università di Oxford, a cui ha tra l’altro collaborato una giovane ricercatrice toscana.

Per di più, i CPR sono strutture inutili. In teoria dovrebbero servire ad accertare l’identità e la nazionalità dei migranti da rimpatriare. Ma tutti sanno che queste procedure di identificazione si concludono sempre nel giro di qualche giorno: quando non si concludono, è perché manca la collaborazione delle autorità del Paese di origine, per cui l’identificazione è di fatto impossibile. In questi casi, prolungare il trattenimento fino a 18 mesi non ha alcuna utilità pratica: si tratta di semplice propaganda fatta sulla pelle delle persone.

Infine, i cittadini devono sapere che i CPR non servono per «contrastare la criminalità». Nei «centri» finiscono infatti non gli immigrati che hanno commesso furti, rapine o aggressioni, ma coloro che semplicemente non hanno un permesso di soggiorno in tasca. Non è una differenza di poco conto, perché l’irregolarità non ha nulla a che fare con la criminalità: molti cittadini stranieri, ad esempio, diventano irregolari solo perché hanno perso il lavoro (la legge Bossi-Fini lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro), o perché sono arrivati in Italia con un visto turistico, che (sempre secondo la Bossi-Fini) non può essere trasformato in un permesso per insediamento stabile. Può essere irregolare la badante che si prende cura di un anziano, il manovale che vediamo in un cantiere edile o il bracciante agricolo che raccoglie l’uva nei distretti vinicoli del Chianti.

Per far fronte agli arrivi basterebbe ripristinare la capacità d’accoglienza di cui l’Italia disponeva prima dell’intervento dell’allora Ministro Salvini, e potenziarla non solo in quantità ma soprattutto in efficacia e qualità.

Ciccio Auletta, candidato a sindaco Una Città in Comune – Unione popolare

Condividi questo articolo

Lascia un commento