Fermare l’escalation. Questo è oggi il primo obiettivo, all’opposto di quanto si sta facendo con la base militare nel cuore del Parco di San Rossore e a Pontedera. Ieri si è tenuta un’ultima riunione tra enti locali e ministero della Difesa: avanti tutta con centrosinistra e centrodestra d’accordo, come è sempre stato al di là di polemiche e assenze tardive. Confronti col territorio? Basta, non ce n’è più bisogno, ora c’è solo da trovare i soldi: evidentemente fare la guerra viene avanti a tutto. Mai per un movimento nome fu più corretto di “No base, né a Coltano né altrove”: perché è chiaro che la priorità di chi governa è quella, al di là di dove la base sarà realizzata. Con buona pace della necessità di garantire una giustizia sociale per cui invece, nel nostro Paese, non si trovano mai le risorse.
Nell’ultimo anno e mezzo abbiamo visto aumentare i conflitti – anche a causa del mancato rispetto dei trattati internazionali – e abbiamo visto come la scelta di gestirli con le armi non solo non li abbia risolti ma li abbia inaspriti. La scelta di non seguire la via diplomatica e di favorire o permettere nei fatti una “gestione” armata è una scelta fallimentare e ipocrita, inaccettabile perché pagata innanzitutto dalle persone che si trovano nei teatri di guerra. E’ anche, non lo ripeteremo mai abbastanza, in contrasto con l’art. 11 della nostra Costituzione che dice che l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
Sembra assurdo come invece gli strumenti creati dall’umanità per costruire soluzioni pacifiche vengano considerati inadeguati, ma questo è quello che abbiamo visto accadere sempre più spesso e sempre più decisamente negli ultimi trent’anni.
Quanto accade anche in queste ore in Palestina è purtroppo esemplare: l’uccisione di centinaia di persone in un ospedale; il fermo degli impianti di dissalazione dell’acqua, in un posto in cui l’acqua è scarsa e preziosissima; nessuna garanzia di corridoi umanitari. Il governo di Israele considera normale il genocidio della popolazione palestinese in risposta al disumano attacco da parte di Hamas. Gli ex soldati israeliani dell’ong Breaking the silence dicono: “i governi israeliani che si susseguono insistono in un’ondata di violenza dopo l’altra, come se tutto ciò potesse fare la differenza. Parlano di ‘sicurezza’, ‘deterrenza’, ‘cambiare l’equazione’. Tutte queste sono parole in codice per ‘bombardare a tappeto la Striscia di Gaza’, sempre con la giustificazione di colpire bersagli terroristici, ma sempre anche con un pesante bilancio di vittime civili. Tra un’ondata e l’altra di violenza, rendiamo la vita impossibile ai cittadini di Gaza e poi ci sorprendiamo quando la situazione esplode. Parliamo di ‘normalizzazione’ delle relazioni con gli Emirati Arabi Uniti e ora con l’Arabia Saudita, sperando che il mondo chiuda un occhio sulla prigione a cielo aperto che abbiamo costruito nel nostro cortile. Oltre all’insostenibile violazione dei diritti umani, abbiamo creato un enorme problema di sicurezza per i nostri stessi cittadini”.
Ecco, questo è quello che accade quando la guerra diventa lo stato normale di vita. Occupazioni militari, apartheid e abusi, deportazioni, arresti e uccisioni, violazione sistematica di tutti i fondamentali diritti umani. Questo è quello che abbiamo visto mettere in atto in Palestina da parte di Israele. Ma questo innesca spirali di violenza, non permette di uscirne.
Quanto accaduto e accade nei 56 stati in cui, in base ai dati del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), nel 2022 si sono registrati conflitti armati chiarisce senza ombra di dubbio che la pace si può costruire solo con metodi e strumenti di pace, a partire dal disarmo generale, contro la corsa agli armamenti e alle spese militari che rientrano – è bene ricordarlo, – in una vera e propria economia della guerra. Al contrario, occorre puntare ad un’economia di pace, in cui le risorse degli stati devono essere spese per dare una vita dignitosa alle persone: dalla giustizia, dal rispetto dei diritti umani, dal riconoscimento della stessa dignità e della stessa libertà a tutte le persone nasce la convivenza pacifica.
Per tutto questo Una città in comune sarà presente questo sabato 21 ottobre alla manifestazione indetta dal Movimento per “Fermare l’escalation”: più che mai oggi deve essere questo il primo obiettivo, ogni giorno ce lo fa capire in maniera più netta. Più che mai è questo il punto di partenza: la manifestazione di sabato non è solo per Pisa e su Pisa, è a disposizione della pace e della giustizia nel mondo intero.
Una città in comune