Scrivere sul Primo Maggio ai giorni nostri è tutto fuorché parlare di una giornata di festa.

Il segnale lanciato da Meloni che convoca il Consiglio dei Ministri proprio quest’oggi è inequivocabile: il governo lavora senza sosta per smantellare i diritti di chi lavora e rafforzare la sua credibilità nei confronti del capitale privato – ce ne fosse ancora bisogno. Ciò che ci aspetta è un Decreto Lavoro ancora una volta sbilanciato a favore delle aziende e impegnato nella lotta non alla povertà, ma ai poveri, con strumenti per le politiche attive che approfondiscono disuguaglianze e marginalità. Per non parlare del fondo di 10 milioni di euro a risarcimento delle famiglie dei giovanissimi che hanno perso la vita in alternanza scuola-lavoro: la monetizzazione del rischio più crudele, mentre il numero di morti sul posto di lavoro sfiorano le 200 vittime in questo primo trimestre dell’anno e il numero degli infortuni aumenta per le donne, in primis nel settore sanitario.

Quella che ci troviamo a fronteggiare è un’intera classe dirigente incapace di ripensare politiche industriali capaci stare al passo con l’urgenza della transizione ecologica, a così poco tempo dalla pandemia che ha messo in evidenza sia quanto siano precari, poveri e sfiancanti i lavori “essenziali”, sia a quale intensità, con quali carichi e sotto quale ricatto dei salari da fame si lavori in tutto il resto dei settori produttivi e dei servizi.

Il paese si confronta con migliaia di posti di lavoro persi nei processi di delocalizzazione che la politica sceglie di non impedire, un nuovo codice degli appalti che favorisce il lavoro di scarsissima qualità nel settore pubblico e privato, violenze e discriminazioni che insistono sui soggetti razzializzati e su chi sul posto di lavoro si organizza e/o fa attività sindacale.

Si lavora sempre di più e in condizioni sempre peggiori, sul posto di lavoro e al di fuori, visto lo stato di salute del welfare pubblico, e anche su questo fronte ricade la logica delle più vili compensazioni: è sempre il lavoro di cura, non retribuito o al nero, di milioni di donne a sopperire al disinvestimento strutturale nei servizi pubblici.

Vite invorticate in ritmi di lavoro che sottraggono sempre più tempo alla piena realizzazione dell’esistenza, alla cura dell’altro, alla socialità. Dagli Stati Uniti, si sta allargando anche all’Europa il fenomeno delle “grandi dimissioni”, di chi abbandona il posto di lavoro non perché “possa permetterselo”, ma proprio per l’esatto contrario, perché non può più permettersi di soffrire condizioni di lavoro pessime per retribuzioni che comunque non permettono di vivere dignitosamente.

A Pisa purtroppo possiamo toccare con mano la concretezza di queste politiche. Dal progressivo smantellamento di Vitesco alla mancanza di un piano industriale per il futuro della Saint Gobain, emerge chiaramente la grande dismissione in corso degli ultimi scampoli della Pisa operaia del secondo dopoguerra. Dalla recentissima vertenza in Vodafone a quella delle ausiliarie degli asili e delle scuole comunali e di tutti i processi di esternalizzazione dei servizi, osserviamo interi settori sacrificati in nome dell’aumento dei profitti. Le stesse dinamiche investono l’ospedale, sempre più sotto organico, sempre meno vigilato, compresso tra liste di attesa interminabili e taglio dei posti letto. Per non parlare delle lavoratrici e lavoratori delle piattaforme digitali, con le consegne a domicilio ormai scese sotto i 4 euro cadauna, o chi lavora negli eventi e nello spettacolo, che è stat3 lasciat3 sol3 nella pandemia e costrett3 a ricollocarsi.

In questi dieci anni di attività dentro e fuori il consiglio comunale, non solo siamo stat3 al fianco delle lavoratrici e dei lavoratori in lotta, degli invisibili, dei precari e delle precarie, ma abbiamo contribuito a svelare un disegno complessivo e uniforme delle politiche delle amministrazioni che si sono susseguite: il turismo di massa e le grandi costruzioni sventolate come panacea di tutti i mali, appalti al massimo ribasso nella macchina comunale e nelle società partecipate, tappeti rossi alle grandi multinazionali che si installano, godono di incentivi pubblici e poi se ne vanno lasciando eco-mostri e disoccupazione.

Ci candidiamo ad amministrare Pisa per ridisegnare profondamente il futuro di tutto il territorio. Alla sfida delle grandi trasformazioni Pisa è pronta a rispondere con il coraggio di cambiamenti strutturali, capaci di liberare tempo dal lavoro garantendo al contempo diritti e sicurezza. Lanceremo fin da subito un Osservatorio sui Nuovi Lavori di Piattaforma capace di analizzare e mappare l’andamento di questo specifico segmento lavorativo, a cui seguirà un Piano per la Logistica di Prossimità e, in collaborazione con l’Inail, l’istituzione di una Carta dei diritti delle Lavoratrici e dei Lavoratori della Logistica. Avvieremo una campagna, che parta dall’aumento degli investimenti per le assunzioni del personale del Comune e delle società partecipate, puntando sulla sicurezza, l’igiene e la manutenzione degli ambienti di lavoro, sensibilizzando e diffondendo la cultura della prevenzione, contrastando il lavoro nero. Promuoveremo un monitoraggio stringente sugli appalti, per prevenire infiltrazioni malavitose, rispettare il principio della parità di salario a parità di mansioni e procedere alla reinternalizzazione dei servizi. Avvieremo anche un osservatorio sulle povertà, che permetterà di affinare e implementare efficacemente strumenti di contrasto alla marginalità sociale, modificheremo i requisiti per l’ottenimento della residenza, viatico fondamentale a tutti i servizi, di cui proponiamo la reinternalizzazione. E infine promuoveremo gli Stati Generali dell’Economia e del Lavoro, un tavolo permanente che aggreghi tutti i portatori di interesse attorno ad un obiettivo comune: trasformare Pisa da capitale degli sfratti a capitale della giustizia sociale, in cui i tempi di lavoro e di vita possano conoscere nuovi equilibri e la tutela dei diritti un nuovo corso.

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