Suicidio al Don Bosco: area per le persone semilibere un inferno. Dalla Giunta Conti nessuna politica attiva

Il drammatico caso di suicidio avvenuto all’interno del carcere Don Bosco è l’ennesima dimostrazione delle condizioni inaccettabili del carcere Don Bosco di Pisa, struttura assolutamente invivibile, e della condizione disumana di tutto il sistema di detenzione nel nostro paese.

In meno di un mese e mezzo dall’inizio dell’anno, secondo quanto riferisce Antigone, sono già 18 i suicidi avvenuti nelle carceri italiane. Un numero così alto non si era mai registrato prima d’ora e tutto ciò avviene nell’indifferenza assoluta di chi governa. Questa ennesima e tragica morte chiama in causa tutta la comunità. I problemi strutturali, le carenze di servizi e il sovraffollamento sono ormai diventati a Pisa, come nella maggior parte delle carceri italiane, la drammatica normalità, nell’assenza di qualsiasi politica nazionale.

In autunno, dopo l’audizione del garante dei diritti dei detenuti e il sopralluogo con la Seconda commissione consiliare, abbiamo denunciato la gravissima situazione all’interno dell’istituto penitenziario pisano proprio a partire dalla sezione di semiliberi, dove si trovava l’uomo che si è suicidato: un vero e proprio inferno dove la dignità della persona è calpestata.

Questa sezione del carcere, che dovrebbe essere una struttura a custodia attenuata e collocata fuori dalle mura carcerarie, è priva dei servizi primari ed è in uno stato di totale abbandono: contrariamente a qualsiasi normativa, il water alla turca è a vista accanto ai letti e manca l’acqua calda. Un’area totalmente dimenticata, sulle condizioni della quale nessuno può girarsi dall’altra parte.

Bisogna ricordare che l’ingresso in carcere e l’avvicinarsi del fine pena sono i due momenti più psicologicamente delicati per la persona detenuta. La semilibertà dovrebbe essere la principale via di graduale reinserimento in società della persona che si avvicina al fine pena. Purtroppo, per le persone prive di una rete familiare e sociale solida (come lo sono la maggior parte delle persone detenute), l’arrivo della libertà rischia di essere un drammatico salto nel vuoto: servirebbe quindi un costante e strutturato percorso di accompagnamento. Ciò si realizza raramente, a causa della scarsità di risorse economiche, strutturali e di personale delle istituzioni carcerarie.

Oltre al cronico sovraffollamento e alle condizioni strutturali fatiscenti, all’interno del carcere mancano i servizi per la cura delle persone. Secondo i dati di Antigone relativi alla rilevazione del 2022, il 23% delle persone detenute ha problemi di salute mentale. Ma, per un assurdo paradosso, sono proprio i servizi relativi alla principale emergenza sanitaria ad essere più carenti: in una struttura così fragile è totalmente assente, infatti, la figura dello psicologo della ASL.

Come se non bastasse, in carcere girano grandi quantità di sostanze stupefacenti ma è assolutamente carente la presa in carico delle persone che hanno problemi di dipendenza, che richiederebbe una presenza più assidua degli operatori del SerD all’interno dell’istituto: su questa questione abbiamo depositato negli scorsi mesi un argomento in seconda commissione consiliare che chiediamo di calendarizzare quanto prima.

Un altro dato allarmante è che la maggior parte delle persone detenute ha un’età compresa tra i 20 e i 30 anni. Ed è un fatto gravissimo che, nonostante la metà della popolazione carceraria non parli l’italiano come prima lingua, manchino completamente i mediatori linguistici, ad eccezione della presenza volontaria dell’Imam per la lingua araba.

Occorre sfatare la vulgata secondo cui le amministrazioni comunali non possono fare niente. Anche gli enti locali – a partire dal Comune di Pisa – hanno delle responsabilità e la Giunta Conti è colpevole, così come quelle precedenti, di non aver avviato delle politiche adeguate.

Nella casa circondariale sono tante le persone che hanno i requisiti per accedere all’esecuzione penale esterna, ma non ci sono le condizioni e le prospettive per un reale reinserimento sociale. I continui tagli ai servizi e ai diritti si ritorcono in modo drammatico contro i detenuti (e in generale contro le persone vulnerabili), privando le persone delle opportunità di scegliere percorsi di vita di piena cittadinanza e di legalità.

Per abbattere la recidiva occorre costruire cittadinanza: per ottenere questo risultato è però necessario potenziare i servizi per l’inserimento sociale e per l’accesso al lavoro e alla casa. Ma l’amministrazione comunale ha deciso di non considerare i detenuti del Don Bosco come abitanti effettivi, dimenticando che, una volta scontata la pena, la maggioranza di chi esce dal carcere rimane sul territorio senza alcuna possibilità di un positivo inserimento in società.

Servono dunque interventi urgenti da parte dell’amministrazione comunale: il Comune di Pisa non può più continuare a disinteressarsi della situazione carceraria.

Ciccio Auletta – consigliere comunale Diritti in comune: Una città in comune – Unione Popolare


Condividi questo articolo

Lascia un commento